Fondi pensione europei

Il progressivo invecchiamento della popolazione dato dal progresso della ricerca medica e calo della fertilità; unito ad unito ad un aumentato standard di vita, si sono rivelati un problema per i sistemi pensionistici pubblici dei Paesi sviluppati. L’indice demografico che calcola il rapporto tra over 65 e persone in età da lavoro (15-64 anni), è previsto in crescita a livello UE dal 31,4% del 2015 al 56,8% nel 2060. In futuro ci saranno meno lavoratori attivi ed un numero maggiore di anziani con conseguenti problemi di copertura previdenziale. Questo ha indotto le istituzioni europee ad individuare una nuova forma di prodotti individuali di integrazione alle pensioni europee, i PEPP (Pan-European Personal Pension), allo scopo di favorire lo sviluppo della previdenza complementare nell’UE e aumentare le performances dei fondi pensione occupazionali nazionali.

La differenza fondamentale di questi prodotti rispetto quelli nazionali già esistenti è proprio la loro portabilità, questo permette di poterli trasferire da un paese all’altro restando all’interno dell’UE. L’obiettivo è quello di creare un marchio di qualità e realizzare un mercato previdenziale più sicuro, trasparente, efficiente in termine di costi, fiscalmente vantaggioso. Con lo stesso scopo è già stato approvato nel nostro paese il decreto legislativo attuativo della direttiva UE 2016/2341, volta a rafforzare la trasparenza e la vigilanza sui fondi pensione europei.

Secondo i dati dell’Ocse ben tre europei su quattro (il 73%) con età tra i 25 e i 59 anni non hanno un proprio piano. loro creazione parte tre anni fa grazie al lavoro dell’Eiopa, l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali in seguito alla segnalazione della Commissione nell’ambito del progetto per la realizzazione dell’Unione dei mercati dei capitali. Anche l’italiana Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, ha partecipato alla progettazione. L’obiettivo è di mettere a disposizione prodotti con elevato livello di trasparenza e semplicità che siano facilmente comprensibili dal sottoscrittore che possa valutare appieno i rischi e i rendimenti attesi dal prodotto pensionistico.

Le prospettive sono più che incoraggianti, Ernst and Young, su mandato di Bruxelles, ha calcolato che l’introduzione dei Pepp potrebbe liberare risorse per circa 2.100 miliardi entro il 2030 analizzando che il mercato della previdenza integrativa nella Ue vale circa 700 miliardi. I PEPP potranno essere offerti da banche, assicurazioni, società di gestione, imprese di investimento e fondi pensione occupazionali, mentre potranno sottoscriverli lavoratori autonomi e dipendenti, ma anche studenti o disoccupati. In Italia andranno ad aggiungersi ai prodotti previdenziali individuali già esistenti: fondi pensione aperti, ai fondi negoziali e ai PIP, i piani previdenziali assicurativi. A calcolare il possibile impatto delle nuove misure è stato

La strada non è in discesa e non sono tutte rose e fiori, il problema principale nasce dall’armonizzazione necessaria nelle discipline regolamentari e fiscali dei diversi paesi europei. I PEPP posseduti o commercializzati in Italia dovrebbero avere le stesse possibilità senza essere penalizzati a seconda del paese di emissione. Il Regolamento UE sui PEPP non può intervenire d’imperio sulla materia fiscale, e qui nascono le maggiori differenza tra i vari paesi della comunità. La tassazione italiana sulla previdenza complementare è basata sul modello ETT, in base al quale i contributi non sono tassati mentre lo sono le rendite e le prestazioni, laddove in altri paese funziona lo schema EET, che è l’esatto contrario, deducibilità dei contributi è neutrale per il fondo pensione, la tassazione dei rendimenti incide direttamente sul suo patrimonio. I rendimenti dei piani pensionistici sono tassati, oltre che in Italia, solo in Danimarca, Grecia, Svezia e Portogallo, mentre sono esenti in Germania, Spagna e Francia, per citare tre paesi dove questi strumenti sono molto diffusi.

Lo scorso 26 febbraio il comitato Econ del Parlamento Europeo ha licenziato i PEPP con 25 voti a favore (tra cui l’Italia), 4 contrari e 17 astenuti; ora manca la ratifica finale dell’Assemblea e del Consiglio Europeo, ma la strada appare spianata.  L’obiettivo del regolamento è quello di consentire ai risparmiatori di non cambiare il piano pensionistico iniziale sottoscritto con un intermediario, dovrà essere l’intermediario a seguire e adattare le regole contrattuali ad ogni cambio di residenza del proprio cliente. Potrà farlo costituendo sub-account (almeno due) in distinti paesi del continente oppure ricorrendo a partnership con operatori locali nei paesi in cui, in mancanza di sub-account, il proprio cliente andrà a risiedere chiedendo di usufruire del servizio di portabilità. Sulla falsariga di quanto già previsto per i prodotti finanziari e assicurativi i regolatori di Bruxelles hanno disciplinato gli obblighi di trasparenza sui nuovi prodotti stabilendo un Pepp Kid (Key information document) che produttori e distributori dovranno consegnare ai clienti e aggiornare periodicamente. Chi vuole istituire un Pepp deve richiedere un’autorizzazione all’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali (EIOPA). In seguito all’autorizzazione esso potrà essere attivato in tutta l’UE anche mediante l’adesione online. Essendo un prodotto per l’area europea esso dovrebbe evitare tutti gli intoppi burocratici attualmente esistenti quando si cambia professione, si vuole cambiare fondo pensionistico oppure semplicemente si va da uno Stato all’altro. Diversi punti e forme dovranno essere stabiliti, dalla tipologia dei prodotti finanziari offerti, alle regolamentazioni fiscali e di riscatto degli stessi. Le autorità europee in merito hanno invitato i governi nazionali a garantire ai PEPP gli stessi benefici delle attuali forme di previdenza complementare già esistenti.

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