Emergenze, errori di percezione del rischio

La gestione del fattore umano, quindi la sua formazione/informazione/preparazione, nella percezione del rischio per affrontare le emergenze è, possiamo dire, l’elemento più importante: un qualcosa di imprescindibile, ma al tempo stesso estremamente complesso.

L’errore umano nella situazione di rischio/emergenza consiste nella mancata percezione o riconoscimento della situazione di pericolo o nel riconoscimento del pericolo, ma fallimento nelle scelte decisionali (ad esempio eccessivo carico di informazioni da gestire in relazione alle caratteristiche dell’operatore); in scelte decisionali corrette, ma fallimento nelle metodologie operative da utilizzare (per incapacità fisica, psichica o situazione imprevista e inaspettata). Un approccio estremamente innovativo alle questioni del “pericolo” e delle “emergenze” e della loro corretta gestione è dato dal fattore “percettivo” (quindi psico-emotivo-intellettivo) e dalla sua corretta formazione e/o modifica là ove necessario.

Affinché una situazione di “rischio” sia affrontata nel miglior modo, portando alla soglia di minimo errore le dinamiche comportamentali e relazionali di interazione da porre in essere, le possibilità di risoluzione dei problemi potenziali e reali che si prospettano, i cosiddetti “dati critici”: i comportamenti, le intenzioni e le modalità di approccio con cui i singoli interagiscono con l’emergenza devono essere ottimizzati in ogni loro minimo aspetto, in un magico punto di equilibrio in cui comportamenti, dinamiche, dati critici, impatto emozionale e di percezione psicologica delle situazioni reali devono incontrarsi e ciascuna perfezionata, riducendo al minimo le possibilità di errore, perfezionate le metodiche di approccio e risoluzione cosiddette “disfunzionali”. Nel processo di gestione-arginamento delle emergenze il fattore emozionale-psicologico-percettivo rappresenta un elemento di grande vulnerabilità per la facilità con cui e facile incorrere in comportamenti erronei volontari e involontari o, comunque, di “bassa efficacia” risolutiva.

Quello di cui stiamo parlando è di “cultura del rischio e delle metodologie di prevenzione e corretta percezione delle situazioni reali” che ci circondano: niente di più complicato, in poche parole. Generalmente quando ci troviamo in una situazione di pericolo, il nostro cervello analizza ciò che ci circonda e ci consiglia la strada più corretta da seguire: in presenza di una situazione di rischio agiamo sulla base di esperienze pregresse e in base alla percezione che abbiamo della realtà che ci circonda. Si tratta di quella definita dagli psicologici: “dimensione personale” che ciascuno valuta in modo diverso sia in relazione alle modalità di soluzione che per le possibili strade da utilizzare per evitarla. In genere si tratta di valutazione consce o inconsce dei rischi/pericoli che sono dettate da esperienze e conoscenze che ci indicano la soluzione che per il nostro cervello a livello conscio e/o inconscio è percepita come ottimale. Un errore in questo processo di valutazione (un errore di corretta percezione quindi) può portare alla creazione della situazione di emergenza e al rischio o peggio ancora perdita della vita per la persona coinvolta.

L’attività del cervello, hanno dimostrato anni di Studi scientifici italiani e internazionali, ovvero il suo compito di valutazione/decisione/percezione è ostacolato, abitualmente, da quelle che sono chiamate “distorsioni di giudizio” i cosiddetti “bias cognitivi” che portano a errori sistematici nel momento in cui occorre prendere decisioni in condizioni di incertezza.

E’ una denominazione che può essere ricondotta agli psicologi Amos Tversky e Daniel Kahneman e al loro Studio “Judgment under Uncertainty: Heuristics and Biases”, che avrebbe poi portato al Programma di ricerca di Tversky e Kahneman culminato poi nel premio Nobel per l’Economia a Kahneman del 2002, che volle dimostrare come gli uomini prendono le proprie decisioni in contesti dominati dall’incertezza e con limitate risorse individuali di tempo, informazioni, capacità cognitive, etc. Con il risultato di scoprire che la mente umana, nella stragrande maggioranza dei casi, prende le proprie decisioni utilizzando un numero limitato di “euristiche” in altre parole “scorciatoie mentali” piuttosto che sofisticati processi razionali.

Uno Studio scientifico condotto a livello internazionale dai Ricercatori: David E. Levari, Daniel T. Gilbert, Timothy D. Wilson, Beau Sievers, David M. Amodio, Thalia Wheatley della Harvard University a Cambridge, in Massachusetts e della Dartmouth University ad Hanover in New Hampshire: “Prevalence-induced concept change in human judgment” sviluppa questa strada e dimostra che la nostra percezione della realtà è “soggetta a una distorsione sistematica: gli stimoli minacciosi che ci fanno sentire una situazione come un’emergenza sono percepiti come intensi e frequenti anche quando non lo sono e viceversa e questo elemento può influenzare molte decisioni importanti”. Ma non solo: “…quando una minaccia o una situazione di emergenza si affievolisce sia che si tratti di tassi di povertà che della diffusione dei reati o di qualche forma di discriminazione continuiamo a percepirla come fosse costante a causa di un meccanismo cognitivo generale”. E’ quello che i ricercatori definiscono il meccanismo di “ri-concettualizzazione del problema”.

La psicologia cognitiva ha chiarito che le decisioni della mente umana sono prese da due sistemi mentali: uno razionale e uno intuitivo che lavorano in modo combinato e sinergico, governando entrambi, in ugual misura la nostra mente. Quindi, per ottimizzare i sistemi di valutazione e gestione della corretta percezione delle situazioni di rischio o emergenza non è possibile far leva solo su l’uno o l’atro dei due sistemi cognitivi, ma devono essere coinvolti entrami, in ugual misura, contemporaneamente.

La mente umana, infatti, durante l’evoluzione ha incorporato una serie di comportamenti intuitivi che le hanno consentito di sopravvivere in ambienti ostili prendendo “decisioni euristiche”. Questo tipo di decisioni funziona correttamente in molti ambiti della vita umana, ma producono sistematicamente distorsioni di giudizio (Biases) in altri ambiti. Nel mondo contemporaneo gli uomini, dal punto di vista fisico, sono immersi in un ambiente meno ostile, ma più ostile dal punto di vista psichico (ad esempio il sovraccarico informativo e la manipolazione mediatica a cui tutti assistiamo ogni giorno. A questo si aggiunge l’elemento che gli errori che coinvolgono la propria autostima, le persone tendono a negarli in via psicologica inconscia “la mente non li digerisce”. La distorta percezione, la commistione di errori cognitivi si abbina, spesso, quindi, alla negazione dei propri errori: e questa è la parte più pericolosa che amplifica esponenzialmente la possibilità di inverarsi del pericolo o rischio potenziale o reale.

Gli errori di valutazione e percezione delle situazioni della realtà circostante, dimostra la psicologia, soprattutto quando le decisioni devono essere prese con urgenza e immediatezza, sono ineliminabili per la mente umana. Si può solo far leva sull’informazione, sulla comunicazione, sul continuo studio e aggiornamento, approfondimento e perfezionamento delle proprie competenze e preparazione. Si dovrebbero sviluppare accanto alle competenze tecniche quelle che sono definite come le: “Non-Technical Shill” (competenze cognitive, sociali e personali complementari alle competenze tecniche), ma la probabilità che si verifichino non può essere ricondotta allo zero statistico.

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