Duecentoventuno anni di Tricolore

E’ stato a Reggio Emilia che, nel 1797, iniziò a prendere forma il sogno rivoluzionario dell’unità nazionale e si gettarono le basi della futura fisionomia repubblicana del nostro Paese ed è stato sempre a Reggio Emilia che sono iniziate le celebrazioni della “Festa del Tricolore” appena conclusesi.

Con la nascita della Repubblica Cispadana e l’adozione del Tricolore come “Bandiera di uno Stato” i tre colori: bianco, rosso e verde sono diventati simbolo della libertà e dell’unità di un popolo, trasformandosi, per antonomasia, nell’emblema di quelli che sono gli ideali più alti per una Nazione, il senso di eguaglianza e di giustizia, due dei principali cardini della nostra Costituzione.

Il Tricolore simboleggia gli ideali democratici e costituzionali alla base dell’essere italiani, “l’unità di un popolo che non combatteva più per la religione o per il re, ma per la propria patria”. Diceva Calamandrei: “…i morti per il Tricolore… da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovinetti della resistenza… sono morti senza retorica… come se si trattasse di un grande lavoro da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservati la parte più dura e più difficile: quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più facile: quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini, alleati a debellare il dolore”.

“Alleati a debellare il dolore” si può dire che il senso profondo dell’essere italiani sia questo, come mette in evidenza il nostro Presidente della Repubblica Mattarella, nel suo Messaggio per le celebrazioni della Festa del Tricolore, quando ricorda il percorso che ha portato all’unificazione e alla condivisione di un’identità nazionale: “…il Tricolore verde, bianco e rosso ha animato i moti rivoluzionari del 1821, ha entusiasmato gli ideali di libertà della Repubblica romana del 1849, ha guidato l’armata sarda prima e italiana poi durante le campagne del risorgimento – dice Mattarella – e nei tragici conflitti mondiali del secolo scorso, fino ad essere definitivamente consacrato nella nostra Costituzione repubblicana. E’ un simbolo che unisce li italiani – prosegue – rappresenta i valori di libertà, democrazia, giustizia sociale, rispetto dei diritti dell’uomo e di solidarietà che caratterizzano la Repubblica. Di questo patrimonio di storia, cultura e civiltà che il tricolore evoca e mostra al mondo intero, siano sempre fieri e consapevoli tutti gli italiani…”

Tricolore, Repubblica e Costituzione che sono i tre passaggi conseguenti e ciascuno non eliminabile per la costruzione di un Paese e di uno spirito patriottico, per la costruzione della nostra identità. Identità su cui si sofferma Gentiloni nelle celebrazioni del Tricolore: “…bisogna investire sulla nostra identità e non averne paura, sarebbe il modo migliore per non lasciare campo aperto a chi, con una visione distorta dell’identità nazionale vuole costruire odio e conflitti. Noi siamo orgogliosi della nostra identità perché sappiamo che può essere giocata in modo completamente diverso”.

Per Gentiloni occorre ora più che mai puntare sulla nostra identità: “…sulla specialissima coesione italiana che si fonda sulla capacità di valorizzare i nostri corpi intermedi e di alimentare forme di inclusione sociale”, congiunta alla capacità di metter la centralità della persona alla base di un’idea “matura di cittadinanza attiva e la dimensione di comunità come capacità di convivere dentro un sistema di valori condiviso” aperti a nuove forme di integrazione e interculturalità, come solo gli italiani sanno e sono in grado di fare, attingendo al proprio patrimonio di esperienze, acquisito nel proprio percorso di maturazione e strutturazione come popolo attraverso i secoli.

“Coscienza dell’italianità che in Italia è molto più forte dell’idea di uno Stato nazionale” stando a quanto osserva il sociologo francese Alain Touraine. E, in parte, non possiamo dire che non sia vero. Identità del popolo italiano che è “identità complessa” come “complesso e variegato” è il popolo italiano, che affonda le sue radici in “un’epoca” che precede lo Stato nazionale, che anticipa, perfino, il “localismo dei Comuni”, degenerato ai giorni nostri in quelle che sono viste come “piccole patrie”.

Identità divisa tra il “comune senso religioso” nello Stato e una “laicità dello Stato” male interpretata. Identità che non necessariamente nel suo essere “locale e particolare” in Italia e nel modo di essere e di sentire del suo popolo si trova a confliggere con l’Identità nazionale degli italiani, affondando le proprie radici in motivazioni antropologiche antichissime, quindi in qualche misura autonome e precedenti e in grado di vivere di vita propria. Un’identità che, comunque, va oltre e al di là tra il concetto identitario di nazione “demos”, fondata sull’appartenenza elettiva a una comunità politica, e la nazione “ethnos”, basata su comuni radici storico-culturali.

Si potrebbe dire che si pone in un sentire di “appartenenza separata” piuttosto che di “cittadinanza condivisa”, in un sentire di Nazione e di Patria, un’identità nazionale degli italiani resa più forte e indissolubile dal superamento delle continue divisioni interne, da un sistema di valori, profondamente radicati, condivisi, temprati da localismi e regionalismi che da sempre, fin dai tempi delle prime guerre civili, hanno dovuto affrontare e risolvere.

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