Brexit, approvata la legge di addio alla UE

Si chiama Great Repeal Bill. E’ la legge quadro approvata dalla Camera dei Comuni britannica, deputata a cancellare l’European Communities Act del 1972 e a regolare le varie fasi che si configureranno al momento del divorzio da Bruxelles. Ma, soprattutto, è l’ancora di salvezza del governo conservatore di Theresa May, in bilico fino a poco prima della votazione per l’acceso dibattito scaturito dai Labour di Jeremy Corbyn.

Sono stati 326 i Sì e 290 i No. I Tories hanno fruito del sostegno del DUP (Destra Unionista nordirlandese) e di qualche elemento nel fronte dell’opposizione; Corbyn ha avuto l’appoggio – dimostratosi insufficiente – degli indipendentisti scozzesi dell’Snp e dei Liberal Democratici.

Il Paese si è trovato davanti all’urgenza di decidere cosa fare – in vista del distacco sancito con la passata consultazione referendaria – del nutrito corpus di norme e direttive dell’Unione (circa 19.000) recepite nel proprio ordinamento giuridico, che disciplinano tuttora interi settori della vita sociale, pubblica e privata, dei sudditi britannici e dei residenti comunitari.

Si è scelto di evitare la confusione e il prevedibile caos derivante da quella che – forse – è stata un’inaspettata separazione. Inattesa perché, sulla errata valutazione politica della permanenza o meno, ci ha rimesso ingenuamente le penne l’ex premier David Cameron, compromettendo così un’avviata e brillante carriera politica.

Si è deciso, innanzitutto, di revocare la potestà legislativa di Bruxelles sul Regno Unito e ci si riserva la possibilità di esaminare successivamente l’eventuale mantenimento, riforma o abrogazione delle norme europee, oggi integrate a tutti gli effetti nel sistema legislativo nazionale.

Imprescindibile, dunque, la necessità di avere una linea chiara da seguire durante il processo di uscita dall’Unione, rapporto che si risolverà in via formale non prima del 2019. E mentre il ministro David Davis e il capo negoziatore dell’UE Michel Barnier si confrontano sui molteplici aspetti dettati dalla Brexit – dai diritti dei cittadini dell’Unione residenti in Gran Bretagna, alla questione del confine irlandese, fino alla spinosa discussione sull’entità del conto che Londra dovrà pagare per il divorzio – il governo di Sua Maestà si dichiara comunque disponibile a mantenere un legame con Bruxelles in tema di difesa e sicurezza, in un’ottica di solerte collaborazione per contrastare e scongiurare l’escalation di minacce globali nel Vecchio Continente.

Sul fronte politico interno, la May tiene botta ai reiterati attacchi laburisti, pur uscendo indebolita dall’assai deludente risposta alle urne di tre mesi fa, quando era alla ricerca di un mandato forte per condurre al meglio le trattative con Bruxelles. Esistono spaccature sia nel partito conservatore che laburista circa l’orizzonte che andrà profilandosi dopo la Brexit e le carte, ora, si mischiano imprevedibilmente tra ideologi dell’antieuropeismo, pragmatici pro Brexit e neo euro-friendly.

Corbyn, dal canto suo, si ripropone non tanto di sabotare l’uscita dall’Unione, quanto di tenere in costante tensione l’esecutivo di Theresa May, per non consentirle di assumere una posizione dominante nella negoziazione, estromettendo le altre voci di popolo. L’obiettivo è mantenere la libertà di circolazione delle persone nel Regno e di spegnere la miccia innescata dai brexiteers sui gravi rischi derivanti dall’immigrazione di massa.

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