Egitto, i due isolotti “anti Iran”

L’Egitto ha appena ceduto all’Arabia Saudita due delle sue isole strategiche. Un trasferimento territoriale che rafforza la coalizione contro il Qatar e l’Iran.

Se l’Arabia Saudita avesse voluto lanciare un’offensiva diplomatica anti-Qatar solo qualche mese fa, la monarchia petrolifera si sarebbe sentita un po’ più sola. L’Egitto e il suo potente esercito non avrebbero risposto all’appello dei fedeli alleati. Il regime di al-Sissi, per quanto generosamente sponsorizzato dall’Arabia Saudita da quando ha preso il potere, era impossibilitato a mantenere una promessa fatta nell’Aprile del 2016. Ricevuto in pompa magna al Cairo, il Re Salamane era ripartito per Riyad con un accordo territoriale in tasca che ratificava il lascito, da parte dell’Egitto, delle due isole strategiche Tiran e Sanafir, situate all’ingresso del Golfo di Aqaba, sul Mar Rosso. Ma i due dirigenti non avevano fatto i conti con l’indignazione e la resistenza degli egiziani, così come quella di qualche giurista e oppositore ancora in libertà. Il timore della repressione non aveva impedito allora che centinaia di persone manifestassero contro questo trasferimento territoriale. Alcuni avvocati avevano messo loro i bastoni tra le ruote, denunciando questo atto. Inaspettatamente, una corte amministrativa e il Consiglio di Stato gli avevano dato ragione e invalidato l’accordo siglato dall’esecutivo. Se mesi dopo la visita del Re Salamane, sulle isole che reclamavano i sauditi da almeno trent’anni sventolava ancora la bandiera egiziana.

Indispettito anche per la mancanza di un vero sostegno di al-Sissi nella lotta contro Bachar al-Assad, l’Arabia Saudita decide di “punire” l’Egitto sospendendo la consegna di petrolio. Non sciogliendosi il nodo delle isole, la monarchia saudita tenta anche di bloccare il primo prestito da 12 miliardi di dollari del Fondo Monetario Internazionale, che avrebbe dovuto dare un po’ di respiro alla sofferente economia egiziana. Più la questione si trascinava, più la promessa di 16 miliardi di dollari di investimenti di Re Salamane rischiava di prendere il volo. Messo con le spalle al muro dalla caduta del turismo e delle entrate del Canale di Suez, lo Stato egiziano ha finalmente ceduto alle pressioni  saudite. Il Parlamento, sottomesso al regime militare di al-Sissi, è stato così pregato di fingere per qualche giorno un acceso dibattito sulla territorialità di Tiran e Sanafir. Scavalcando le precedenti sentenze, due terzi dei deputati approvano, il 17 Giugno scorso, l’accordo di trasferimento di sovranità delle due isole.

Per molti osservatori le centinaia di milioni di petrodollari che l’Arabia Saudita eroga ogni mese sono fondamentali nel mantenere le finanze del Governo di al-Sissi. I rapporti tra Egitto e Arabia Saudita non sono privi di fonti tensione, soprattutto per quanto riguarda Siria e Yemen. Ma il Presidente al-Sissi e il Re Salamane sembrano essersi messi d’accordo sul prezzo da pagare per il sostegno saudita: la cessione di Tiran e Sanafir. L’impazienza saudita si spiega anche per le sue proprie misure di austerità, in contraddizione con la generosa politica nei confronti dell’Egitto. In effetti il Regno saudita sta riducendo le sue spese pubbliche e si sente in dovere di mostrare alla sua opinione pubblica che riceve qualcosa in cambio dei milioni di dollari dati all’Egitto. Va ricordato che è possibile che riserve di gas possano essere scoperte a breve sulle due isole cedute, l’accordo prevede che in questo caso ci sia una divisione dei proventi che va a favore dei sauditi.

Con il ritorno a pieno titolo dell’Egitto nel suo girone, l’Arabia Saudita è ormai a capo di un a grande eterogenea coalizione di alleati che vede insieme i sue vicini (Bahrein e Dubai), cinque Paesi africani (Niger, Mauritania, Senegal, Ciad, Comore) e alcuni rappresentanti di Stati sull’orlo del fallimento come il Presidente dello Yemen e il generale Haftar, in Libia. Al di là della su dipendenza economica, l’Egitto di al-Sissi condivide con l’Arabia Saudita lo stesso avversario politico: i Fratelli Musulmani. Un certo numero di dirigenti e membri dell’organizzazione islamista sono ospitati dal Qatar dal 2013, data della caduta di Mohammed Morsi.

Per questo nuovo fronte anti-Qatar, la questione siriana è diventata secondaria. Con la decisione di isolare il Qatar si assiste alla nascita di un triangolo regionale forte, basato su Arabia Saudita, Emirati e Egitto, con Donald Trump some sponsor. Il cambio di Amministrazione americana e la prima tournée di Donald Trump in Medio Oriente hanno, in effetti, riposizionato in prima linea l’Arabia Saudita sulla scena regionale. Diventando saudite, le minuscole isole disabitate acquistando una dimensione strategica. Questi isolotti, lunghi 15 (Tiran) e 8,7 (Sanafir) chilometri, sono posti all’entrata del Golfo di Aqaba, unico punto di accesso al Mar Rosso per Israele e Giordania. Bloccando lo stretto di Tiran, un Paese può facilmente impedire ai cargo carichi di merci di arrivare in Israele. Per questo motivo, dagli accordi di Camp Davi tra Israele ed Egitto, nessun esercito è autorizzato a stazionare sulle isole. Solo la polizia egiziana è autorizzata a pattugliare. Gli accordi di Camp David del 1978 non vietavano di trasferire i territori ad un altro Paese.

Qualsiasi cambiamento richiedeva però l’approvazione dei due firmatari del trattato. Alla fine è stato Israele ad essere il più veloce. Già più di un anno fa, il Ministro israeliano della Difesa  ha ufficialmente dato via libera al trasferimento delle due isole ai sauditi. L’entusiasmo israeliano si spiega per la fiducia che pone il Governo nell’amministrazione saudita e il coinvolgimento diplomatico che comporta la cessione. Il Ministro degli Esteri saudita, Adel al Jubeir, si è impegnato a rispettare le regole di Camp David. Secondo Yaakov Amidror, membro del think thank conservatore Begin-Sadat per gli studi strategici, “accettando di infilare le stesse scarpe dell’Egitto, l’Arabia Saudita riconosce indirettamente il trattato di pace israelo-egiziano”. Ricordiamo che per via di questo trattato, l’Egitto è stato il primo Paese arabo a riconoscere lo Stato d’Israele.

Il Re Salamane è pronto a superare la linea rossa che continua a dividere il mondo arabo? La nuova linea di successione voluta dall’Arabia Saudita porterà a ulteriori cambiamenti? La nomina di Mohammed Bin Salaman a prossimo Re fa si che nel Golfo la leadership giovane, in gran parte vicina a Washington, sia potenziale portatrice di cambiamento nell’affrontare delicate questioni che i precedenti regnanti volevano lasciare in mano allo scorrere del tempo. Il Governo conservatore israeliano, che condivide lo stesso odio ossessivo per l’Iran, ne sarebbe felice.

Un tale sconvolgimento diplomatico porterebbe al risveglio dell’opinione pubblica araba, in particolare quella saudita, contro la dinastia dei Saud. Anche se negli ultimi anni ci sono stati contatti discreti con rappresentanti sauditi, l’Arabia Saudita continua ad assicurare che non ci sono legami con Israele. Ma l’approvazione data a questa cessione non può essere ignorata. Un ricercatore egiziano dell’Università del Cairo, Hassan Nafaa, afferma che Donald Trump abbia ormai i mezzi per incitare i suoi nuovi amici, il Re Salamane e il Presidente al-Sissi, ad accettare a qualsiasi prezzo l’”affare del secolo”, ossia un accordo di Pace israelo-palestinese.

L’imprevedibilità del megalomane Presidente americano rende difficile qualsiasi pronostico su un dossier fermo da più di 25 anni. Ma è sicuro che il futuro delle isolette rocciose ai più sconosciute fino ad oggi non è affatto irrilevante anche se gli egiziani non hanno ancora detto l’ultima parola. La Corte Costituzionale deve ancora pronunciarsi su di un trasferimento che scatena ancora un grande scontento tra la popolazione.

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