Draghi: per l’Italia, il No-Euro costerebbe 358mld

“Lasciare l’Eurosistema all’Italia costerebbe 3558,6 miliardi di euro, perché sarebbe obbligata a far fronte ai suoi debiti” questo è quanto risponde il Presidente della BCE Mario Draghi in una lettera all’interrogazione parlamentare di due eurodeputati del Movimento Cinque Stelle. Bisognerebbe, in altre parole, regolare i pagamenti di “Target 2”, ovvero onorare le proprie situazioni di debito verso le Banche centrali dei restanti Paesi dell’Eurozona.

Del resto senza crescita è praticamente insostenibile per l’Italia continuare a restare nell’Euro: questo è l’opinione che da più parti si fa sentire con sempre maggiore insistenza,  soprattutto in Germania dove Clement Fuest, Presidente dell’Ifo (uno tra gli Istituti economici più importanti in Germania e vicino alla posizioni conservatrici e alla Cancelliera Angela Merkel) spiega che senza crescita e con un debito pubblico che continua a salire per l’Italia sarebbe il caso di uscire dall’euro se questo servisse a stimolare la crescita.

In ogni caso, dal punto di vista giuridico, uscire unilateralmente dall’euro per un Paese, comporterebbe uscire dall’Unione, come spiega Phoebus Athanassiou, Consiglier Capo del Servizio legale della Banca Centrale Europea, nel su Saggio: “Withdrawl and expulsion from the Eu and the Emu, some reflections” pubblicato nel 2009, nella Collana dei Legal Working Paper della BCE, ma ancora di grande attualità. Saggio che è vicino alle posizioni della Cancelliera tedesca Merkel così come dell’ex Presidente della Commissione Europea Barroso e di altri esponenti della politica europea di primo piano.

I Trattati europei non dicono nulla delle modalità in cui sarebbe possibile un’uscita unilaterale dall’euro. Fino al Trattato di Lisbona del 2009 non era stato mai preso in considerazione neanche l’uscita dall’Unione Europea per uno Stato membro. Le conclusioni a cui arriva Athanassiou e gli altri giuristi sono, quindi, frutto di una deduzione logica proveniente dall’analisi delle disposizioni complessive dei Trattati. L’uscita per un Paese membro dal’euro non potrebbe essere impedito anche se non previsto dai Trattati e comunque dovrebbe essere frutto di un negoziato tra la Commissione e la BCE.

Per Athanassiou il fatto che le norme che regolano l’Unione monetaria e la BCE sono contenute in un protocollo aggiuntivo dei Trattati, il fatto che non sia mai fatto cenno alla possibilità di ritiro, il fatto che l’adesione all’Unione ma non alla moneta unica di Paesi come il Regno Unito abbia previsto la possibilità di un ingresso successivo nell’euro anche se non si fa riferimento alla scadenza temporale entro cui questa dovrebbe avvenire, sono tutte prove giuridiche del legame tra adesione alla Unione Europea e alla Moneta unica.

E, comunque, le conseguenze sul piano economico oltre che giuridico dell’uscita di uno Stato membro dall’euro sarebbero di portata colossale: il ritorno alla moneta nazionale, l’uscita dall’Eurosistema della Banca centrale, il regolamento del sistema di debito o di credito della Banca centrale Paese interessato con la BCE sono solo alcuni degli esempi della portata delle questioni che emergerebbero e che dovrebbero essere risolte. Nel caso dell’Italia dovrebbe essere liquidata dall’Eurotower la quota di Banca d’Italia nel suo capitale (circa un miliardo) oltre la quota di riserve ufficiali italiane conservate a Francoforte (circa dieci miliardi) sempre a fronte, in ogni caso, della regolarizzazione dei 358 miliardi da parte della Banca d’Italia verso la BCE.

Altra ipotesi che si delinea all’orizzonte e la doppia moneta: questa l’ipotesi che sviluppa Carlo Cottarelli, economista e Direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale ed ex Commissario alla Spending Review del Governo italiano. Anche se l’introduzione della moneta parallela equivarrebbe, di fatto, all’uscita dall’euro, spiega Cottarelli. Questa moneta che dovrebbe essere utilizzata dallo Stato per le spese interne mentre l’euro per l’estero. E’ vero anche, però, che ci sono molti Paesi, in Europa, che utilizzano una moneta straniera per le proprie transazioni interne perche non hanno fiducia nella propria moneta nazionale. In termini economici, appare evidente come, alla resa dei conti, non vi sia molta differenza tra uscire dall’euro o introdurre una moneta parallela.

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