I migranti ambientali? Pare non esistano

I migranti ambientali, di cui in conseguenza dell’inasprimento del clima nel Sud del mondo si parla sempre più, dal punto di vista formale non esistono. Sebbene la quantità di persone in fuga da alluvioni e siccità costituisca una dura realtà in drammatico aumento, a livello internazionale una definizione riconosciuta di ‘migrante ambientale’ non è stata ancora ufficializzata. Per conseguenza, non è riconosciuto neanche uno status specifico per i migranti per ragioni climatiche. E, mentre aumenta di anno in anno il numero delle persone costrette ad abbandonare per queste ragioni la propria terra, la comunità internazionale resta sprovvista dello strumento fondamentale per rendersi conto del fenomeno: il nome con cui chiamarlo, indispensabile per comprenderlo e gestirlo al meglio.

In un tempo di grande attenzione per i fenomeni sociali di massa come le migrazioni, la ragione di questa incongruenza va probabilmente cercata nella difficoltà di comprendere ed identificare con precisione i caratteri di un fenomeno in sé complesso. Quella che manca – e andrebbe realizzata – è in primo luogo un’analisi delle diverse nature di ‘migrazione ambientale’. C’è infatti una migrazione connessa in modo diretto all’avversità climatica: è la migrazione immediatamente conseguente alle grandi alluvioni, come quelle del Pakistan nel 2010, o del Balgladesh quasi ogni anno. In questi casi, la correlazione tra calamità naturale ed emigrazione è immediata, e ‘intuitiva’.

Esiste però anche una migrazione ambientale che è collegata alle avversità climatiche in modo soltanto indiretto: è la migrazione dovuta alla siccità per esempio, che non colpisce direttamente le persone, ma la loro economia, e provoca le migrazioni a seguito della scarsità dei raccolti e della povertà e della fame che ne derivano. Una causa certamente ambientale delle migrazioni, che però non è immediatamente identificata come tale perché agisce su tempi lunghi e dietro il velo dell’economia, appunto.

Ma c’è un altro fattore ad impedire l’identificazione su vasta scala della ‘migrazione ambientale’: il fatto che spesso, e con numeri importanti, questo tipo di spostamento avviene all’interno dello stesso paese, dove si trovano sia il luogo di partenza che quello di arrivo; è il caso delle grandi migrazioni ‘interne’ che avvengono in Cina e in India entro i confini dello stesso paese, e che per questo non sono percepite come migrazioni vere e proprie, e ‘scompaiono’ dal censimento delle migrazioni di massa senza quasi lasciar traccia della loro drammatica esistenza.

E’ dunque l’insieme di questi fattori ciò che può spiegare la ragione per cui i ‘migranti ambientali’ restano tuttora sconosciuti alle statistiche ufficiali, ai rapporti, e alle iniziative internazionali. Ma questo malinteso logico-linguistico comporta un’ulteriore conseguenza: il fatto che, mancando il parametro per identificarla e successivamente quantificarla, la migrazione ambientale rimane un problema sottovalutato rispetto alle sue reali proporzioni. Per questo una definizione di ‘migrante ambientale è indispensabile e urgente e va al più presto rintracciata.

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[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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