Erik Jones (J.H.U.): USA, perché ha vinto Trump

È Director of European and Eurasian Studies and Professor of European Studies and International Political Economy presso la Paul H. Nitze School of Advanced International Studies della Johns Hopkins University, Erik Jones è anche Senior Research Fellow presso il Nuffield College di Oxford, Regno Unito. Jones è autore di The Politics of Economic and Monetary Union (2002), Economic Adjustment and Political Transformation in Small States (2008), e, insieme a Dana Allin, Weary Policeman: American Power in an Age of Austerity (2012). Il suo ultimo libro è una raccolta di brevi saggi chiamato The Year the European Crisis Ended (2014). È redattore o co-editore di più di venti libri o numeri speciali di riviste su temi legati alla politica europea e l’economia politica, tra cui The Oxford Handbook of the European Union (2012) e The Oxford Handbook of Italian Politics (2015). Il professor Jones insegna su argomenti di economia politica internazionale e comparato con un focus particolare su Europa e le relazioni transatlantiche. Commentatore e panelist di politica europea ed economia politica, i suoi contributi sono stati pubblicati, tra gli altri, su Financial Times, New York Times, USA Today, giornali e riviste di tutta Europa. Ha scritto molto su integrazione monetaria europea e governance  macroeconomica ed è attivo nei dibattiti pubblici sulla risposta europea alla crisi economica e finanziaria globale. Il professor Jones è co-editore di Government and Opposition e redattore di Survival, giornale dell’ Institute for International and Strategic Studies. Jones ha guadagnato il suo AB alla Princeton University (1988) e il MA e PhD presso la Johns Hopkins SAIS (1990, 1996). Prima di entrare alla facoltà presso la Johns Hopkins, ha lavorato presso il Centro di studi europei politici, la Central European University e l’Università di Nottingham. Cittadino statunitense, Jones ha vissuto in Europa per gli ultimi venticinque anni; è sposato con tre figli.

Il sistema elettorale americano è particolare.

Il sistema americano è particolare, potremmo dire quasi proporzionale, meglio di altri che conosco tipo quelli dove c’è una soglia del 5%, per cui questi voti non contano per nulla. Quando si vota per un partito troppo piccolo la propria voce non trova sfogo. Potrebbe essere molto pericoloso togliere il sistema dei collegi elettorali, ci sarebbero tanti Stati che non vedrebbero mai un candidato andarci, tipo il Texas, ed invece hanno un grande bisogno di essere ascoltati, diventerebbero molto più problematici se non lo fossero.

Un tratto caratteristico delle vittorie di Trump e della Brexit è stata la divisione del voto fra le città, a favore dei candidati ‘progressisti’, e delle zone rurali a favore di quelli più ‘conservatori e tradizionalisti’, una contrapposizione tra urbanizzazione e campagna a cui dobbiamo dare un significato?

Non è stata vista la via che ha trovato Trump per raggiungere gli elettori, negli stati vicino ai grandi laghi, la Clinton non ha mai immaginato di perdere in questi Stati, Hillary ad esempio non è mai andata, neanche una volta in campagna elettorale, in Minnesota. Questo probabilmente riguardava noi, tra noi, inteso come abitanti nelle grandi città, quando Trump ha iniziato a parlare ci siamo detti che era inaccettabile.

Ma non è curioso che entrambe le correnti vincitrici abbiamo messo in alto la lotta all’immigrazione e questo abbia portato consensi proprio nelle zone dove presumibilmente il problema è minore, considerando che nelle città si concentrano le migrazioni di stranieri.

Chi abita nelle campagne sogna di andare a visitare New York City, Los Angeles, e così via; al contrario chi abita nelle grandi città non pensa di andare in Oklahoma o in Kansas, quindi non hanno colto che chi abita in questi paesi ha delle idee completamente diverse da chi risiede nelle città e sa molto bene cosa succede in queste metropoli. Gli abitanti di questi stati non vogliono diventare così e l’immigrazione che arriva nelle grandi città diventa un simbolo anche nelle zone dove non ci sono immigrati, proprio per non trovarsi ad avere la situazione che vedono nelle città. Quando Trump punta il dito sulla situazione delle metropoli, sulla miseria, sulla criminalità, i poveri delle zone rurali pensano “potrebbe andare anche peggio se diventiamo come loro”. Quindi votano Trump perché li rassicura  che tutto questo non cambierà.

Forse la Clinton ha fatto delle scelte, in parte obbligate, in base alla enorme estensione del territorio americano, dove andare?

Mah, per lei questi stati erano già stravinti, ecco il problema, lei pensava di averli già in mano e non li ha nemmeno visitati, non ha quindi scoperto che molti di questi elettori non le erano favorevoli. Lei ha una squadra immensa ed ha speso 3-4 volte più di Trump, sicuramente si deve vedere dove concentrare le forze in questi campi di battaglia, ma almeno ascoltare cosa avevano da dire gli elettori in questi stati avrebbe dovuto farci attenzione.

Trump ha ricalcato un poco la storia di Berlusconi, decenni fa la sinistra prendeva i voti nelle fabbriche ed il centro-destra nella borghesia, poi abbiamo avuto gli operai che votavano per Berlusconi ed i blu collar a sinistra.

Sì, ma soprattutto Trump ha preso i voti nelle aree popolate in maggioranza dai bianchi, se potessimo vedere una mappa delle razze, ci accorgeremmo che è stato votato dove la percentuale è del 90-95%, dove c’è la concentrazione di neri lui ha perso, poi ad ovest dove ci sono molti latinos, questi hanno votato democratico, ma i bianchi invece per Trump. Diventa una situazione in cui la società americana si è divisa in un modo culturale molto, molto pauroso. Potrebbe succedere di avere nel paese due visioni diverse della società.

Le analisi ci dicono anche che i millennials, che fecero vincere Obama, stavolta non si sono recati alle urne.

Sì, è stato il risultato della frustrazione, perché ci si è accorti che invece di creare una società multiculturale e multirazziale, vediamo una società divisa tra culture e razze. Questo è vero però solo nel profondo degli Stati Uniti, nelle zone rurali, nelle città esiste ancora una vita liberal accettabile.

Subito dopo avere vinto, Trump ha dichiarato, sulla falsariga di quanto affermò candidamente anche Farage, che quello che aveva detto in campagna elettorale era solo per vincere le elezioni. In effetti le cose che più aveva pubblicizzato, come il muro con il Messico e la cancellazione dell’Obamacare, paiono essere spariti dal programma dei 100 giorni, così come, per fortuna ha archiviato lo special prosecutor contro Hillary.

Si vedrà dalle persone che Trump nominerà al governo, al momento è difficile dire che lui rinnega quanto detto in campagna elettorale vedendo i nomi che sta portando.

Si diceva che Hillary fosse una wasp inserita nell’establishment, e che Trump fosse il ‘vero’ rivoluzionario, in realtà la sua squadra si sta popolando di lobbisti, dobbiamo aspettarci una invadenza delle grandi conglomerate ancora più invasiva? Mentre recluta lobbisti per posizioni di governo, annuncia una moratoria di 5 anni per i funzionari che decaduti vogliano diventarlo.

Tutti quelli che hanno lavorato per Obama, se passa questa legge,sarebbero fuori, rimarrebbero solo i repubblicani. È un gioco politico, verso la fine della sua legislazione, 4 o 8 anni che siano, cambierà le regole per fare sì che tutti quelli che sono con lui possano rientrare come lobbisti.

La mancata ratifica del TPP firmato da Obama, cosa comporterà? Siamo alle soglie di una nuova guerra commerciale con la Cina ed i paesi asiatici?

Il TPP è morto, ci sono alcuni passi che deve fare prima,  nella legislazione americana è prevista la Super300a1, in caso che il governo si accorga di comportamenti distorsivi in economia da parte di un paese estero, può mettere un dazio del 300% (ndr per massimo 150 giorni), e questo senza neanche l’accordo con il Congresso. Il TTIP anche non credo andrà avanti.

Se darà seguito alle sue promesse in campo ambientale, togliendo i costi a carico delle aziende a scapito della natura per abbassare i costi produttivi e ridare competitività alle aziende statunitensi, è ipotizzabile che il resto del mondo, Cina compresa, continuino a tenere un comportamento virtuoso o invece si adattino in qualche maniera per non perdere quote di mercato? Si prospetta anche qui una guerra commerciale a danno della popolazione mondiale?

Lui nega il riscaldamento globale, quindi ha una politica coerente, ora dice che può mantenere gli accordi di Parigi, ma allo stesso tempo afferma di volere togliere ogni obbligo alle imprese americane per ridargli competitività. Certamente se facesse questo, anche la Cina e l’India non starebbero ferme e sono sicuro che in futuro avremo molti problemi dal punto di vista ambientale.

In un periodo di bassi costi delle materie prime energetiche, The Donald promette di prendere il primo giorno di presidenza provvedimenti fondamentali per ‘cancellare le restrizioni allo shale oil ed al carbone pulito’ e creare milioni di posti di lavoro. Un aumento dell’offerta non potrebbe che portare logicamente ad una ulteriore caduta del prezzo del petrolio, con Big Oil che è stata anche una grande sostenitrice di Trump (oltre che dei lavoratori delle miniere), come poi verrebbero creati questi ‘milioni di posti di lavoro’ non è ben chiaro.

Negli Stati Uniti noi paghiamo prezzi molto più bassi di quelli che pagate voi, quindi si pensa più rivolti perso ricerca ed infrastrutture, lui non può andare contro Big Oil, ma può dare incentivi per il trasporto degli oli, per la ricerca, quindi anche in presenza di prezzi bassi del petrolio. Poi gli americani vogliono rendersi indipendenti dal medio oriente, quindi con la ricerca possono avere nuove fonti di approvvigionamento.

L’attenzione di Trump è sempre stata rivolta all’est asiatico piuttosto che verso l’Europa, il TTIP non è mai entrato tra i suoi bersagli, che l’Europa ami poco il nuovo presidente  è certo, ma nei fatti cosa si prospetta? Un disimpegno degli USA dalla NATO almeno in parte e quindi una ridefinizione della politica di sicurezza? Oltretutto i rapporti tra UE e Putin sono pessimi, mentre quelli tra Trump e lo stesso Putin paiono improntati ad un positivo interesse.

Quando lui parla di Europa pensa sempre solo alla NATO, lui vuole rinsaldare i rapporti con Putin. Dipende anche da chi sarà il Segretario di Stato, se sarà Romney è un discorso, se altri è diverso. Certo che Trump manda via le persone che non sono d’accordo con lui con molta facilità, quindi anche con Romney bisognerà vedere se questi seguirà la sua politica estera o quella di Trump, e comunque non sappiamo quale sia la politica estera del nuovo Presidente. Con Flynn, nuovo National Security Advisor, che è molto duro con Putin chi vincerà? Lui o Trump che ha relazioni molto più familiari con il leader russo?

Contando l’enorme debito pubblico americano da 20 miliardi di dollari, raddoppiato sotto Obama, che non si vede come potrà essere ripagato, i cui principali creditori sono proprio Cina e Giappone, appare credibile la volontà di fare la voce grossa di Trump?

Nella formazione scolastica siamo abituati a pensare prima ad un mercato commerciale, ed in seconda battuta a quello finanziario. Pensiamo in termini di importazioni-esportazioni (ndr 4 a 1), ma loro hanno investito talmente tanti soldi nel mercato obbligazionario da avere liberato una massa monetaria che abbiamo speso sui loro mercati. In questa situazione la risposta di Trump fa paura ai mercati che pensano di ritirare i loro investimenti. Sui mercati in realtà nessuno lo pensa seriamente, ora sono felici e ad un livello altissimo, ma in futuro potrebbero cambiare idea e questo cambiamento nel sentimento del mercato potrebbe provocare uno shock globale particolarmente forte. Fra i suoi consulenti ci sono tanti falchi che vedono la Cina come una minaccia, se vanno in questa direzione ci potrebbe essere un problema molto grande.

In campagna elettorale Trump ed il suo staff hanno pesantemente attaccato l’accordo nucleare con l’Iran messo a punto proprio dalla Mogherini, Renzi con poca lungimiranza si era esposto pesantemente a favore di Hillary, cosa possiamo aspettarci nei rapporti USA-Italia?

Per fortuna l’accordo non è solo tra USA e Iran, ma ci sono tanti paesi dentro, speriamo che questo tenga a freno le ambizioni nucleari iraniane. Ora vediamo che l’Iran vuole mantenere questo accordo e quindi speriamo che il buon senso prevalga.

©Futuro Europa®

Print Friendly, PDF & Email
Condividi

Sii il primo a commentare su "Erik Jones (J.H.U.): USA, perché ha vinto Trump"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato


*