Cronache dai Palazzi

Dopo il primo turno delle Elezioni amministrative si ragiona sul destino dei maggiori partiti e sulla geografia politica del Paese. “Se perdo non mi dimetto”, ci tiene a sottolineare il premier Renzi aggiungendo che si tratta di un voto che rappresenta semplicemente “un passaggio locale”. Nonostante tutto si respira una grande attesa per il ballottaggio del 19 giugno, soprattutto nelle grandi città, Roma e Milano in testa.

Nella Capitale, dove il sogno azzurro si è dissolto nel nulla – un nulla di fatto aggravato dalle dichiarazioni di Alessandra Mussolini che dalle pagine del Messaggero ha ammesso di aver portato avanti una campagna contro Meloni per volere dei vertici forzisti – Renzi combatte l’ipotesi Raggi rimarcando che l’eventuale sindaca grillina non parteggerebbe per le Olimpiadi 2024, avendo apertamente dichiarato che sono una “operazione criminosa”. A Roma si cerca quindi di combattere per la poltrona di Giachetti, anche se il vice della Camera rimarca comunque la distanza rispetto al governo – “Non ci sono iniziative in programma con Matteo”, ha dichiarato Giacchetti –  come del resto fanno Sala a Milano e Fassino a Torino.

Il personalismo di Renzi, arma a doppio taglio, in quanto fonte del successo dell’ex sindaco fiorentino ed ora improvvisamente causa di pena, sembra essere in declino. Un po’ tutti prendono le distanze da Matteo Renzi volendo, in verità, prendere le distanze dal governo e i suoi provvedimenti che scontentano tanta gente, a nord, nel centro e a sud del Paese.

Renzi comunque non molla e invece che alle amministrative lega la sua permanenza a Palazzo Chigi all’esito del referendum costituzionale d’ottobre. Non si spaventa inoltre dei fischi, come quelli che ha incassato nell’Assemblea di Confcommercio, anzi sottolinea che continuerà “a metterci la faccia”. “Hanno ragione a chiedere meno tasse – ha ammesso il presidente del Consiglio riferendosi all’Assemblea dei contabili – ma sanno anche che stiamo riducendo ogni anno la pressione fiscale”.

Ai problemi legati al governo si aggiungono le asprezze interne al Pd, in cui secondo Renzi “non è possibile continuare con un gruppo dirigente che tira e altri che tutti i giorni lavorano per dividere”. Il segretario-premier ha già in mente un piano di restauro per il suo partito, a partire dal Sud – dove “ci vorrebbe Saviano”, ha affermato Renzi – cercando di superare “inciuci” e piccoli o grandi “cabotaggi”. A Roma invece è necessaria l’operazione di un fronte civile per salvarla: “Se al Campidoglio andrà un pentastellato la responsabilità non sarà solo del Pd”, ha ammonito Renzi. “Sulla pelle della Capitale, sulla pelle di Roma e dell’Italia, non si può”. In sostanza Renzi è convinto che a Roma “la partita è aperta, apertissima”. L’obiettivo è riversare sulla candidatura della Raggi alcune vecchie proposte grilline contro la Capitale, e recuperare i voti degli astenuti. Non ci sono solo le Olimpiadi, ma anche il nuovo stadio più volte contestato dai pentastellati. Ed ancora, la minaccia di Grillo di licenziare molti dei dipendenti comunali. L’ affermazione della Raggi di non provvedere a pagare i debiti del comune, rischiando così di far sprofondare nel baratro diverse aziende. In pratica i democratici mirerebbero a “stanare una candidata che pesca consensi a destra e sinistra proprio per come sa essere sfuggente su ogni problema”, come raccontano al Nazareno.

Alla proposta di Pier Luigi Bersani di eliminare i banchetti per il “sì” al referendum costituzionale nelle varie feste dell’Unità Renzi risponde invece un secco “no”, e afferma di non vergognarsi di ammettere le cose fatte, tra le quali la riforma del bicameralismo perfetto. Con Verdini poi non c’è nessun patto. “L’alleanza con Verdini nasce dal fatto che nel 2013 si sono perse le elezioni. E con Verdini quel gruppo dirigente ha già governato votando insieme la fiducia a Monti e a Letta”. Renzi ha inoltre sottolineato che la suddetta alleanza ha alla fin fine permesso di dare al Paese una nuova legge elettorale, a proposito della quale però ancora si discute del premio alla coalizione invece che alla lista.

Fa discutere infine la pronuncia della Corte di Cassazione sul fatto che ai dipendenti pubblici non si applica la riforma Fornero, che nel 2012 aveva provveduto a limare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori a proposito di licenziamenti. I dipendenti pubblici sarebbero esonerati. Il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, conferma comunque l’intenzione del governo di definire la questione una volta per tutte nel testo unico sul pubblico impiego che dovrebbe essere pronto dopo l’estate. Per ora per i dipendenti pubblici continuano a valere le vecchie regole. Il licenziamento è comunque possibile in diversi casi tra cui: la falsa attestazione in servizio, ossia chi timbra il cartellino ma poi non è in ufficio; la presentazione di un falso certificato medico, il superamento di tre giorni di assenza ingiustificata nell’arco di due anni. Secondo gli ultimi provvedimenti del governo, infine, nelle amministrazioni pubbliche il salario accessorio sarà strettamente legato alla produttività, con misurazioni puntuali dei risultati. Il prossimo rinnovo del contratto prevede inoltre l’applicazione della legge Brunetta per cui il 50% dei premi verrà destinato al 25% dei dipendenti più bravi e la restante metà verrà distribuita ad un altro 50% di dipendenti. Nulla invece spetterà al restante 25% di dipendenti, giudicati meno produttivi.

©Futuro Europa®

Print Friendly, PDF & Email
Condividi

Sii il primo a commentare su "Cronache dai Palazzi"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato


*