Srebrenica, la Storia non dimentica Karadzic

Il Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (TPIY) ha emesso, lo scorso giovedì 24 Marzo, il suo verdetto più atteso. Radovan Karadzic, l’ex Presidente della Repubblica Sprska, l’entità serba di Bosnia Erzegovina, arrestato nel 2008 dopo tredici anni di latitanza, è stato condannato a 40 anni di detenzione. Il suo avvocato ha dichiarato che ricorrerà in appello.

Oggi settantenne, il più importante leader politico ad essere giudicato dal TPIY è stato ritenuto “penalmente responsabile” del genocidio di Srebrenica, dove 8.000 uomini musulmani (adolescenti, adulti, anziani) furono metodicamente uccisi nel Luglio 1995. Una delle peggiori atrocità della guerra di Bosnia nella quale sono morte più di 100.000 persone tra il 1992 e il 1995. I giudici lo hanno anche dichiarato colpevole per altri nove capi d’accusa riguardanti crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Ma “la corte non è riuscita, sulla base delle prove presentate, ad identificare l’intenzione di commettere genocidio da parte dell’accusato”, ha affermato il giudice O-Gon Kqon durante la lettura del verdetto, riferendosi all’accusa di genocidio perpetrata in altre sette municipalità oltre a Srebrenica. Accusa che, agli occhi delle vittime, era l’obbiettivo principale di questo processo.

Nato il 19 Giugno del 1945 nel villaggio di Petnijca in Montenegro, Radovan Karadzic ha trascorso la sua infanzia a Niksic, vicino alla frontiera con la Bosnia. Giovanissimo comincia a scrivere poesie, un passatempo al quale si vanno ad aggiungere la composizione di opere teatrali o di musica popolare. Suo padre, dal quale ha ereditato il fervore nazionalista, era stato arrestato per aver preso parte al movimento dei “Tchetnik” che avevano combattuto, durante la Seconda Guerra Mondiale, sia contro i nazisti che contro i partigiani comunisti di Tito. Per lungo tempo ha portato avanti la sua carriera di psichiatra, prima di entrare in politica negli anni ’90. Il suo mentore fu Slobodan Milosevic, l’uomo forte della Jugoslavia. Dopo la caduta del muro di Berlino, il vento di cambiamento che soffia sull’ex Europa comunista arriva in Jugoslavia che crolla nel 1991, quando ognuna delle sue sei repubbliche proclamano la loro indipendenza. Come Milosevic, Karadzic vuole allora promuovere il ricongiungimento della Serbia ai territori abitati da serbi in Croazia e in Bosnia dove i serbi rappresentano il 44% della popolazione. Assecondato dal generale Ratko Mladic, Karadzic “purifica” la Bosnia dai suoi elementi non serbi. Più di un milione di persone devono lasciare i loro villaggi, 200.000 verranno uccise durante la guerra. Con gli accordi di Dayton, fine 1995, Radovan Karadzic ottiene la “sua” repubblica: la Republika Srspka, mentre croati e musulmani si dividono l’altra metà del Paese che diventa la Federazione croato-musulmana. Ma a Dayton, Milosevic viene tenuto in disparte e nel Luglio del 1996 gli viene vietato di apparire in pubblico. Entra allora in clandestinità dove dispone di una vasta rete di fedeli. La sua leggenda di primula nera non fa che crescere con il numero dei fallimenti delle operazioni Nato per arrestarlo.

Srebrenica. Un nome che riporta alla memoria un storia lugubre e tetra. Ai confini della Bosnia, nel Luglio del 1995 fu commesso il peggior crimine di massa della Storia europea dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. In pochi giorni, più di 8.000 uomini, tutti musulmani, furono sterminati dopo essere stati strappati dalle braccia di madri e figlie. Il tutto avveniva davanti agli occhi dei caschi blu olandesi rimasti inermi. Due uomini furono i principali registi di questa vasta impresa di purificazione etnica portata avanti sul suolo bosniaco e definita, nel caso di Srebrenica , genocidio: Radovan Karadzic, l’ideologo, psichiatra, ex dirigente politico della Repubblica Serba autoproclamata di Bosnia durante il conflitto (1992-95) e il suo braccio armato, Ratko Mladic, ex capo di stato maggiore dell’esercito dei Serbi di Bosnia soprannominato “il macellaio dei Balcani”. Entrambi sono tra i più grandi criminali nelle mani del TPIY. Più di 20 anni dopo tra i peggiori crimini della guerra di Bosnia, tra i quali figura anche l’assedio di Sarajevo  – dipinto dai pubblici ministeri del tribunale come un “inferno medievale”, è durato 43 mesi e causato la morte di 10.000civili –  lo scorso 24 Marzo il TPIY ha emesso nei confronti di Karadzic un giudizio atteso da lunghissimo tempo. Il processo a Mladic dovrebbe concludersi alla fine del 2017.

Nei giorni che seguirono subito dopo i massacri di Srebrenica, il pubblico ministero del TPIY depose immediatamente l’atto di accusa e un mandato di arresto nei loro confronti. Ma i due uomini beneficiando di una vasta rete di protezione sono riusciti a sfuggire per lunghi anni alla giustizia. Solo la persistente pressione dell’Unione Europea, che ha fatto della cooperazione con il TPIY uno dei cardini dei negoziati per l’adesione della Serbia all’UE, ha messo fine alla loro infinita latitanza. Karadzic è stato arrestato nel Luglio del 2008 a Belgrado, Mladic solo nel Maggio del 2011, nel villaggio di Lazarevo in Serbia. Essendo stati gli ultimi ricercati arrestati tardivamente, il TPIY che fu creato durante la guerra nel 1993 e doveva originariamente estinguersi nel 2010 è dovuto andare avanti a colpi di rinvii e proroghe. Il tribunale ha condannato 80 persone e ne ha scagionato 18. Oltre agli uomini vicini a Karadzic e Mladic, ci sono ancora dei procedimenti in corso per dieci altri imputati. Per quanto riguarda il processo di un altro imputato eccellente, l’ex presidente della Repubblica Serba di Krajina (Croazia) Goran Hadzic, è continuamente rinviato dall’Ottobre del 2014 per via del precario stato di salute dell’imputato.

Negli ultimi anni, il TPIY ha sorpreso e raggelato per le sue sentenze a favore di attori chiave della guerra, come è stato per gli ex generali croati Ante Gotovina e Mladen Markac. Condannati rispettivamente a 24 e 18 anni in prima istanza nel 2011 per crimini contro l’umanità e crimini di guerra, i due vengono prosciolti in appello nel 2012. Ma è l’assoluzione nel 2013 del capo di stato maggiore serbo Momcilo Perisic e del capo dei Servizi serbo Jovica Stanisic a far scoppiare una mezza rivolta in un tribunale già sospettato di parzialità prima che l’assoluzione di quest’ultimo non venisse annullata lo scorso 15 Dicembre e che il tribunale aprisse un nuovo processo contro di lui e del suo braccio destro Franko Simatovic, entrambi accusati di aver appoggiato le unità speciali che hanno commesso le atrocità. Oltre ai sospetti che avvolgono il TPIY,  l’estrema macchinosità e lentezza dei procedimenti lascia un gusto di incompiuto, soprattutto quando si pensa alla morte in prigione avvenuta nel 2006, prima che venisse emessa una qualsiasi sentenza nei suoi confronti, del Presidente serbo Slobodan Milosevic che infiammò il nazionalismo serbo.

Questa sentenza non soddisfa. Non soddisfa le parti lese, che vedono in questi 40 anni di detenzione una presa in giro, non soddisfa Karadzic, che, a sentire il suo difensore Peter Robinson, “sperava non essere condannato per genocidio e si è mostrato sorpreso per essere stato ritenuto colpevole di tale crimine”. Alla vigilia del giudizio finale, in un’intervista al Balkan Investigative Reporting network, aveva addirittura affermato aspettarsi l’assoluzione. Si ricorrerà in appello. Venti anni dopo gli ultimi eventi, ci vorrà ancora del tempo per poter mettere un punto finale a questa saga giudiziaria. Unica certezza di questo processo è che le ferite per ora rimangono aperte.

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