Elezioni in Irlanda, quale maggioranza?

Gli elettori irlandesi hanno sfiduciato il loro Governo uscente senza però dare un’alternativa chiara. Lasciano così la porta aperta ad una serie infinita di possibili soluzioni se non addirittura alla possibilità di indire nuove elezioni precedute da un lungo interim.

“Facciamo fronte a lunghi mesi di governo ad interim”, puntualizzava l’Indipendent riferendosi ai risultati del voto dello scorso venerdì 26 Febbraio che, in assenza di vincitore, hanno comunque designato una vittima: il Governo della coalizione uscente, composto dal Fine Gael (centrodestra) del Primo Ministro Enda Kenny e del Partito Laburista. Sebbene il Fine Gael arrivi in testa con 47 deputati eletti, questo risultato è nettamente inferiore a quello delle elezioni del 2011 quando di deputati ne aveva ottenuti 76. Per mancanza di vincitori ben definiti, i due Partiti d’Irlanda, abituati a discutere animatamente da quasi un secolo, si trovano davanti ad un vero dilemma:  allearsi per governare o lasciare il Paese affondare nell’instabilità politica. Il Labour, l’altro componente della coalizione di Governo, è sprofondato, passando da 37 seggi nel 2011 a…6. “La settimana è stata difficile”, ha commentato laconicamente il Partito su Twitter. Il Governo di Kenny paga il prezzo della sua politica di austerità, affermando molti irlandesi di non sentire a sufficienza gli effetti della ripresa economica, nonostante nel 2015 la crescita si sia attestata al 7% e la disoccupazione sia scesa al 9%. Il Fianna Fail (centrodestra), l’altro grande Partito di questo Paese di 4,6 milioni di abitanti, arriva al secondo posto con 43 seggi, contro i 20 del 2011. Insieme al Fine Gael, è l’altro grande Partito ad aver alternativamente guidato il Paese dal 1932.

I cambiamenti si vedono anche tra le righe del Sinn Fein, ex vetrina politica dell’IRA: il Partito della sinistra nazionalista è arrivato terzo con 22 seggi, 8 in più che nel 2011, confermando il suo posto sulla scena politica Irlandese. La politica non è che il semplice proseguimento della lotta armata attraverso altri mezzi. Non è una citazione del generale e teorico militare prussiano von Clausewitz, ma un’affermazione di Gerry Adams, l’austero sessantenne a capo del Sinn Fein . Il risultato elettorale è dovuto molto al programma anti-austerità del Partito, in un Paese che ha portato avanti lo scorso anno un risanamento economico spettacolare, ma attraverso una pesante politica di rigore. Una posizione che vale ha dato al Sinn Fein il titolo di “sinistra radicale”, alla pari di Syriza in Grecia, Podemos in Spagna o il Blocco di Sinistra in Portogallo. Ma contrariamente a questi nuovo arrivati sulle rispettive scene politiche, il Sinn Fein è nato all’inizio del secolo scorso. Il suo obbiettivo va ben al di là della volontà di riportare maggiore giustizia sociale. Per decenni, questa formazione è stata, dall’altra parte della frontiera, in Irlanda del Nord, la garanzia politica dell’Esercito Repubblicano Irlandese (IRA), già sotto la guida di Adams. L’Ira oggi non esiste più, ma da diversi anni il Sinn Fein partecipa al Governo autonomo di Belfast. Oggi, il movimento repubblicano si è lanciato alla conquista di Dublino. Deputato nordirlandese per lungo tempo, Gerry Adams ha abbandonato il suo seggio nel 2011 per farsi eleggere al Dail (Parlamento irlandese) e continuare da lì la sua lotta. I prossimi mesi potrebbero aiutarlo a far avanzare la causa della riunificazione. La metamorfosi del Partito non può passare inosservata.

Ora i Partiti hanno tempo fino al 10 Marzo alla prima riunione del Dail (la Camera dei Deputati) per trovare una soluzione ad una situazione che ricorda quella della Spagna dopo le ultime elezioni. Apparentemente, il Fine Gael e il Fianna Fail, che si sono da sempre alternati al potere, sembrano poco propensi ad una riconciliazione, anche se in termini di ideologia hanno molti punti in comune. Entrambi di centrodestra, appoggiano le stesse misure economiche e sociali. La loro rivalità nasce durante la guerra civile irlandese (1922-23), scoppiata dopo la firma del trattato anglo-irlandese del 1921 che metteva fine alla guerra di indipendenza per far nasce lo Stato libero di’Irlanda. Il Fianna Fail, o “guerrieri dell’Irlanda”, vi erano opposti perché portava alla divisione dell’Irlanda, con il Nord dell’isola che rimaneva sotto tutela britannica. Il Fine Gael, “tribù degli irlandesi”,, è invece frutto del gruppo che appoggiò il trattato. Il Fianna Fail, fondato da Edmond de Valera che diresse sei Governi prima di diventare Presidente (1959-1973), diventa prima forza politica del Paese. Una posizione che occupa fino alla brutale battuta d’arresto del 2011, in piena crisi economica, quando ottenne solo 20 seggi. Nessuno dei due ha in numeri per formare un Governo stabile senza l’aiuto dell’altro. Gli appelli si moltiplicano affinché facciano tacere la loro fierezza e mettano fine ad “un secolo di guerra civile politica”.

Il Primo Ministro per ora non intende dare le dimissioni. Come Capo del Governo uscente e leader del Partito in testa, il suo “dovere” e la sua “responsabilità” sono di tentare di far nascere una nuova coalizione. L’unico dato certo è l’incertezza nel futuro dell’Irlanda, su uno sfondo di ribellione all’austerità. Era già successo in Grecia, Spagna, Portogallo: gli elettori hanno bocciato i Governi che avevano applicato con troppo zelo le direttive della troika, della Commissione Europea, della Banca Centrale e del FMI. Gli irlandesi hanno anche punito i loro governanti per le promesse non mantenute: lacrime e sangue in cambio di servizi pubblici migliori. La prima gli è riuscita benissimo, la seconda meno, ad esempio le tasse universitarie sono aumentate del doppio quando il Labour aveva promesso che non sarebbero state toccate. Impopolare al massimo la tassa sull’acqua. In Irlanda hanno trionfato i candidati indipendenti che hanno portato avanti una campagna elettorale contro l’austerità, come la coalizione People Before Profit-Alliance anti-austerity, a dimostrazione di un disamore per i Partiti tradizionali che dovranno fare di tutto nelle prossime settimane per trovare una soluzione alla crisi politica per non ripiombare in quella economica.

©Futuro Europa®

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