Guinea, la crisi politica continua a minare lo sviluppo

Le elezioni dello scorso fine settembre avrebbero dovuto sancire il definitivo passaggio della Repubblica di Guinea alla democrazia dopo un’estenuante e violenta transizione iniziata nel 2008, e invece hanno esacerbato le tensioni interne e consegnato l’ennesimo ”nulla di fatto” al paese. Eppure, gli auspici per un passaggio di consegne democratico c’erano tutti, nonostante alla vigilia delle elezioni l’opposizione avesse espresso un cauto ottimismo sulla riuscita del voto (che per altro era già stato rinviato altre due volte in precedenza).

Ad ogni modo,  a nulla è servito il monito della comunità internazionale e la presenza degli ispettori della UE a Conakry. Infatti, le autorità centrali non hanno ancora confermato il risultato finale del voto, e mentre l’opposizione preme per un suo definito annullamento forte del sostegno delle Nazioni Unite e dell’ ECOWAS, il governo guidato da Alpha Condé si è affrettato a dichiarare vittoria. Nel frattempo, la tensione per le strade della capitale è decollata, alimentando la paura di nuovi atti di violenza, che nelle settimane precedenti al voto avevano portato alla morte di più di 50 persone.

Tra le ragioni di conflitto interno, oltre al controllo politico, c’è una pressante richiesta da parte della società civile per una più equa redistribuzione dei profitti derivanti dalle miniere di ferro (iron ore), di cui la regione è ricchissima. Negli ultimi mesi, il governo Condé ha avviato una campagna di trasparenza che ha portato alla rinegoziazione di alcuni contratti di estrazione ed esplorazione stipulati con diverse multinazionali, tra le quali Rio Tinto e BSGR. I due gruppi sono attualmente al centro di una battaglia legale proprio in seguito ad alcune manovre piuttosto ambigue orchestrate dal precedente  governo, che nel 2008 aveva trasferito i diritti di esplorazione della regione del Simandou da Rio Tinto a BSGR, la quale a sua volta li ha rivenduti a Vale per due miliardi di dollari. Rio Tinto è poi riuscita a sottoscrivere un ulteriore contratto con il governo nel 2011, ma le operazioni di sviluppo del sito continuano a procedere a rilento a causa della crisi che ha colpito il settore. Secondo l’analista del Chatham House di Londra, Jaako Kooroshy, nell’ultimo periodo il potere di rinegoziazione del governo è sceso notevolmente per effetto della politica di taglio dei costi adottata dall’intera industria mineraria.

Sicuramente per riconfermarsi nella stanza dei bottoni, Condé non può prescindere dal supporto dei grandi gruppi internazionali che hanno investito nella regione, ma al contempo dovrà riuscire a convincere il paese che le politiche di ridistribuzione della ricchezza che al momento favoriscono l’accumulo delle risorse nelle mani di pochi subiranno una sferzata definitiva. La presenza di ricchissimi giacimenti minerari fa della Guinea una delle nazioni più economicamente attrattive dell’Africa Occidentale e forse dell’intero continente, ma la mancanza di legittimità democratica continua a compromettere le aspirazioni di prosperità del paese, che ad oggi conta ancora uno dei tassi di alfabetismo più bassi al mondo.

©Futuro Europa®

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