La corda tesa

Sono anni che i fanatici dell’Islam tendono la corda nella loro dissennata lotta contro tutto quanto è laico, occidentale, cristiano  e, in una parola, civile. Ci sono stati gli attentati terroristici, gli orrori perpetrati in Nigeria, in Irak, in Siria, nello Yemen, lo spettacolo atroce di ostaggi sgozzati, di bambine prostituite e costrette a convertirsi all’Islam, la concreta minaccia di creare un Califfato islamico, settario e intollerante, nel cuore del Medio Oriente, e di distrruggere Roma e tutto quello che essa rappresenta.

La Libia, a due passi da casa nostra, è nel caos. L’Occidente ha tardato a reagire e lo ha fatto in modo esitante e in ordine sparso, sembrando alle volte preoccupato, più che di difendersi, di non acuire i contrasti, di evitare il “politicamente scorretto”, di evitare a tutti i costi l’idea di una guerra di religione. Aveva creduto nella Primavera araba, si era impegnato a sostenere quelli che questionavano l’antico ordine in Paesi come l’Egitto, la Tunisia, la Libia (regimi autoritari, certo, ben lontani dall’ideale occidentale di democrazia, ma laici, nemici del fanatismo estremista e non avversari a priori dell’Occidente).  In Siria, ha dato per scontato che tutto il male stesse dalla parte di Assad e tutto il bene dalla parte dei suoi oppositori, senza chiedersi quali oscure forze, nemiche dell’Occidente, si nascondessero dietro ad essi. Solo la prudenza di Obama ha evitato che l’errore diventasse tragedia, con il bombardamento delle postazioni di quello che, piaccia o no, resta il governo legale del Paese.

Stiamo pagando caro questi errori, dai quali nessuno in Occidente è completamente esente, sia pur con diversi gradi di responsabilità (la Francia e l’Inghilterra vengono in testa, l’Italia mostrò di essere più prudente). Sulle braccia abbiamo una guerra dichiarata, forse non tra Cristianesimo e Islam, ma certo tra civiltà e barbarie, tra modernità e oscurantismo e, sì, tra “noi” e “loro”. Dagli esiti di questa guerra dipende il futuro nostro e dei nostri figli e nipoti.  Qualcuno ha cercato di muoversi in Occidente: gli Stati Uniti, con i loro raid contro l’IS, la Francia, la Gran Bretagna, noi stessi con il nostro appoggio ai Peshmerga curdi, ma in modo insufficiente. La colpa di questa parziale inerzia non sta solo nella prudenza di Obama, ma anche nella Chiesa Cattolica, che continua a condannare la forza e a predicare le braccia aperte a tutti, e nella sinistra radicale, che si oppone a qualsiasi ragionevole autodifesa e persino, in alcune sue frazioni estreme,  vergognosamente sostiene l’IS.

Però  la corda pare stia per spezzarsi, tanto sul fronte interno che su quello esterno. Su quest’ultimo, è giocoforza riconoscere che chi si sta muovendo con maggiore forza ed efficacia sono oggi la Russia e l’Iran. Ciò pone evidenti problemi, perché a nessuno nella NATO può far piacere vedere la Russia installata nel cuore del Medio Oriente, o l’Iran svolgervi un ruolo dominante. Ma che altro fare, se oggi sono i raid russi e l’azione di terra delle milizie iraniane quelli che, in obiettiva coincidenza con le azioni aeree occidentali (a cui oggi si stanno aggiungendo – ed era ora! – i raid turchi) possono davvero mettere in difficoltà la Jihad e alla fine obbligarla a ritirarsi. Pagheremo un prezzo, è certo. Intanto, dovremo accettare un ruolo per Bashar Assad e il suo governo, che né russi né iraniani sono disposti ad abbandonare. Ora la stessa Arabia Saudita, nemica storica di Assad, gli riconosce un ruolo di transizione. Come fare a meno di lui e della forza che ancora rappresenta?

Sul fronte interno, mi pare significativo quello che sta accadendo in alcuni Paesi del Nord Europa, in Olanda ma specialmente in Germania. Lì si è sviluppato un forte movimento anti-immigrazione specificamente anti-islamico, che ormai scende in piazza in nome della accidentalità e cristianità del Paese. Poiché non manca chi, invece, sta dalla parte degli immigrati, la situazione si sta radicalizzando, ed è questo un pericolo da evitare a tutti i costi. Perché la radicalizzazione non può che portare, presto o tardi e non solo in Germania ma da noi e nel resto d’Europa, al prevalere di forze di estrema destra, di cui conosciamo per esperienza il tragico costo.

Per evitarlo, l’Unione Europea e i Governi dei Paesi membri non hanno che una possibilità: adottare finalmente una seria linea limitativa della futura immigrazione e, insieme, una decisa politica di integrazione che porti la massa di immigranti musulmani che vivono tra noi, se non certo ad abbandonare la loro fede e la sua pratica, ad accettare pienamente le nostre leggi e i nostri costumi. Oppure, altrimenti, a tornare da dove vengono.

©Futuro Europa®

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