Riforma Senato, verso un mini-Nazareno?

Il numero dei senatori Pd dissidenti sale da venticinque a ventotto. La richiesta è sempre la stessa, vogliono un Senato elettivo. Prima della pausa d’agosto le intenzioni si sono trasformate in dieci emendamenti, di cui tre per introdurre l’elezione diretta del futuro Senato delle autonomie con elezioni da tenere in concomitanza al rinnovo dei Consigli regionali. Tre emendamenti per modificare l’articolo 2 del Ddl Boschi sulla composizione e le modalità di elezione del nuovo Senato. Una sfida vera e propria al Governo che non sembra voler mettere in discussione le fondamenta della riforma costituzionale e, anzi, inizia la conta dei voti per capire se i numeri ci sono.

Il conflitto all’interno del Pd è violento e prosegue da mesi. Il premier Matteo Renzi lo sa, ma non sembra avere particolari timori. “Gli emendamenti della minoranza Pd? Non cambiano niente”, ha detto Renzi. ”Si voteranno e vedremo chi ha i numeri”. La partita si gioca proprio qui, sui numeri. E per averli, piuttosto che rischiare di darli, sono iniziate le solite manovre squisitamente politiche che tornano a far parlare di Nazareno dopo lo strappo quirinalizio di gennaio. La premessa è chiara: se non dovesse passare la riforma costituzionale che abolisce il Senato elettivo e riforma il Titolo V della Costituzione, il banco salta e si tornerebbe alle urne. Il ragionamento di Renzi è proprio questo: “Vedremo chi avrà il coraggio di far cadere il governo e di precipitare il Paese alle urne”.

Per dormire sonni agostani tranquilli, però, al presidente del Consiglio servono anche i voti di Forza Italia. Vietato parlare, ancora, di patto del Nazareno, sia chiaro. Ma gli azzurri aprono sulla possibilità di tornare al tavolo delle riforme, soprattutto dopo la dipartita di Denis Verdini e l’accordo sulle nomine Rai. Altra faccenda da non sottovalutare è la volontà espressa da Renzi di allentare la pressione fiscale a partire dal prossimo anno. La prospettiva di abolire le imposte sulla prima casa è da sempre molto cara ai forzisti e un accordo in questo senso, in cambio di un appoggio sulle riforme, permetterebbe addirittura a Silvio Berlusconi di intestarsi la paternità della cancellazione della Tasi. D’accordo, magari senza arrivare a tanto, è indubbio che la merce di scambio in materia fiscale potrebbe essere utile per trovare la quadra del cerchio sul nuovo Senato.

Lo scontro è prima di tutto politico, ma anche tecnico. Un Senato elettivo sarebbe chiaramente differente da quello pensato dall’esecutivo e poi torna in ballo il premio di maggioranza dell’Italicum, in cambio di un appoggio di Forza Italia al Governo. Ma il confine è sottile perché parlare di appoggio esterno fa già infuriare alcuni esponenti berlusconiani. Per capirci qualcosa di più, ovviamente, bisognerà aspettare settembre, con la pausa estiva archiviata si tornerà a lavorare per continuare il cammino delle riforme.

Gli emendamenti della minoranza bersaniana al Ddl Boschi, tra l’altro, puntano anche a ridurre il numero degli eletti alla Camera, ad affidare al nuovo Senato poteri di verifica, controllo e inchiesta, a riportare la lettura bicamerale su alcune materie come leggi elettorali nazionali, temi di natura etica, amnistia e indulto, oltre che diritti delle minoranze e dichiarazioni di guerra. Un cataclisma rispetto all’attuale impianto normativo ipotizzato. In buona sostanza si tratterebbe di riscrivere la riforma se non da capo, quasi. A tal proposito è intervenuto anche l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che dalle pagine del Corriere della Sera ha esortato a “non disfare la tela” perché “non si può tornare indietro”. Benzina per la marcia del Governo. Certo, le insidie restano e sono per la maggior parte interne al Pd. Lo sanno tutti, anche se adesso è molto più semplice pensare alle vacanze d’agosto. Del nuovo Senato si deciderà a settembre, quando il sole brucia meno.

©Futuro Europa®

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