Letta non poteva non sapere

Il teorema italianissimo del “non poteva non sapere” – tanto caro alle memorie dei pm milanesi anni ’90 -non vale per tutti. O per lo meno, per qualcuno ha una valenza chiara, in linea col dettato dell’Accademia della Crusca; per qualcun’altro, invece, è un semplice passaggio lessicale da appaltare al popolo della stampa.

Nell’Italia del doppiopesismo in salsa cocktail quel “non poteva non sapere” ha permesso, in tempi non sospetti, di decimare la classe dirigente italiana degli anni ’90. In tempi più recenti, di ricusare Berlusconi di essere la testa di punta di un sistema di potere volto alla frode fiscale. In un terzo caso, invece, quel “non poteva non sapere” è rimasto relativo.

In special modo il concetto si relativizza se dietro il gioco lessicale troviamo il caso Telecom e con esso il premier Letta a braccetto col salotto. Poteva non sapere, Enrico Letta che dietro  l’operazione Telecom si celava uno scacco al cuore del Paese? Quello stesso stivale che proprio lui, pochi mesi prima, si metteva sulle spalle con l’idea di traghettarlo verso lidi migliori, dopo settimane di traccheggiamento e fatiche elettorali. Poteva non sapere che dietro la vendita della holding italiana delle telecomunicazioni, per anni serbatoio della politica romana, c’erano gli interessi strategici del salotto buono italiano, lo stesso che comanda i giornaloni di Stato e le banche di sistema? Non poteva non sapere, dunque, ma ha lasciato che si agisse. E il risultato è noto a tutti.

Dietro la vendita di Telecom, dunque, troviamo i capitani di Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo che con un colpo di mano hanno permesso a Telco di aumentare il controllo sulla ex municipalizzata di Stato, passando dal 46 al 65% del monte azionario.

Da oggi l’Italia, dunque, non comanda più nemmeno l’unica sua azienda in grado di fare banda larga in Italia. La stessa che in pancia aveva le forze e le strutture per quel famoso progetto ce si chiamava NGN – New Generation Network, ovvero il cablaggio delle 100 città più importanti d’Italia sostituendo l’ultimo miglio della rete internet – oggi in rame – con una più veloce fibra ottica.

Poteva saperlo, Il premier, che in Europa l’indice di sviluppo tecnologico (fatto di numero di accessi alla rete, quantità di pc acquistati, modernità della rete infrastrutturale e web etc) è una leva di competizione con gli altri Paesi dell’Ue? Poteva saperlo lui, l’enfant prodige della sinistra perbenista, che le aziende sono asset di competizione con i Paesi dell’Ue? Poteva saperlo lui, l’eterno nipote dello ”zio Gianni”, che un Paese con un esercito debole, una pressoché nulla politica estera, una sovranità limitata e un minuto colonialismo economico, nel mondo, può competere solo con la qualità, quantità e robustezza delle sue aziende?

Poteva saperlo lui, che il Presidente può intervenire in partite strategiche di questo tipo attraverso la Cassa Depositi e Presiti e il Fondo Strategico Italiano che controlla attraverso il Ministero dell’Economia? Certo, poteva farlo, poteva salvare quel che rimaneva del controllo di Telecom attraverso un’acquisizione di partecipazioni. Così come faceva Tremonti all’epoca del Berlusconi IV. Così come invece non aveva fatto anche il suo predecessore Monti con la Snam Rete Gas, scorporata dall’Eni e indebolita nell’azionariato di controllo.

Poteva sapere tutto, dunque, il premier Letta. Poteva salvare la Telecom dalle fauci del potere bieco dei salotti e delle banche. Era al corrente di tutto e poteva fare qualsiasi cosa, ma si è fatto soffiare la Telecom sotto il naso e il Governo dalle mani. E ora, dopo la crisi dell’esecutivo, aperta ieri dai falchi del PdL, dovrà gestirsi anche la responsabilità di aver indebolito il Paese e di aver lasciato che pochi noti facessero spezzatino di uno dei patrimoni industriali più importanti del Paese.

©Futuro Europa®

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