Il nemico in casa

Quando il Papa ha parlato di terza guerra mondiale già in corso, aveva certamente in mente i cristiani massacrati dalla ferocia dell’estremismo islamico, a centinaia e migliaia, in Africa, Irak, Siria, Egitto. Il Cardinale Segretario di Stato, Parolin, ha poi chiarito che non si può parlare di “guerra di religione” tra Cristianesimo e Islam e con ragione. Quella che è in corso non è una disputa tra due fedi, due teologie, due Rivelazioni, o una sfida tra Vangelo e Corano. Da un bel pezzo il Cristianesimo ha  smesso di imporre colla forza le proprie credenze e ha abbandonato ogni idea di crociata. A nessun cristiano, neppure ai più fanatici membri dell’Opus Dei, verrebbe in mente di obbligare qualcuno a convertirsi a pena della vita. Da tempo la Chiesa ha anche smesso di condannare come false ed eretiche le altre religioni e nessuno più degli ultimi Papi ha compiuto in questi ultimi decenni sforzi ecumenici.

Da tutte le parti ci si predica il dovere di rispettare le opinioni e la fede altrui senza esigere reciprocità e ci si ricorda che l’Islam in sé non è un male e che la cultura islamica ha prodotto nei secoli opere mirabili. Guai a chi osasse sostenere, magari sommessamente, che la civiltà occidentale ha prodotto in complesso cose altrettanto, se non più, straordinarie, dando vita alla scienza moderna e partorendo il concetto magnifico dei Diritti dell’Uomo. Tuttavia, storici autorevoli avvertono da tempo che fra le due civiltà è un atto un conflitto che, a dire il vero, l’Islam ha dichiarato all’Occidente, non l’inverso. Sono d’accordo solo parzialmente. Parlare di un conflitto tra due civiltà credo sia fuorviante. Tra culture diverse e anche opposte sono legittimi il confronto e la dialettica e ognuno è di libero di aderire a quella che preferisce. Ma lo scontro in corso è tra civiltà da un lato, imperfetta quanto si vuole, e oscurantismo medievale. Da un lato c’è una civiltà, laica e illuminista quanto cristiana che, pur con le sue immense colpe, assicura all’uomo i beni basici della libertà, della tolleranza, dell’eguaglianza tra sessi, del rispetto della vita umana; dall’altra c’è un sistema di pensiero che respinge la libertà di coscienza, odia la diversità, opprime il sesso debole, considera giusto minacciare e uccide chi si rifiuta di adottarne i dettami e definisce ciò come obbedienza alla volontà di Dio.

L’Islam non è solo questo, s’intende e non tutti gli islamisti sono fanatici, e neppure forse la maggioranza. Chissà quanti milioni di loro sono pacifici e tolleranti e vediamo che ci sono nel mondo islamico forze che resistono e difendono la laicità. Se così non fosse, il mondo sarebbe davvero in gravissimo pericolo. Il fatto però è che le voci più assordanti sono quelle del fanatismo intollerante. E non si tratta solo di prediche: i talebani in Afghanistan, gli jihadisti in Irak e in Siria, gli estremisti in Nigeria, mostrano che il fanatismo è armato, organizzato e terribilmente aggressivo.

Chiariamolo dunque ancora una volta che non si tratta di contrastare una religione: si tratta di combattere chi, usurpando il nome di Dio, minaccia, violenta, uccide. E non si tratta neppure tanto di combattere i fanatici a casa loro (a questo devono servire le forze laiche nel mondo islamico, che abbiamo il dovere di aiutare). Si tratta, innanzitutto, di impedire che vengano a portare l’intolleranza a casa nostra, sognando una nuova conquista dell’Occidente e pretendendo di imporci norme di vita che sono del tutto aliene alla civiltà nella quale siamo stati allevati e con la quale ci identifichiamo.

Negli ultimi decenni, Europa e Italia hanno aperto le porte a milioni di immigranti musulmani. Come osservato prima, sarebbe grottesco pensare che siano tutti fanatici e pericolosi (tra l’altro, le statistiche mostrano che non più del 4% di essi frequenta regolarmente le moschee) ma tra di loro vi sono nuclei estremisti che vengono tollerati se non tacitamente aiutati, e le moschee e le scuole coraniche sono putroppo talvolta centri di irradiazione del terrorismo. Se anche si tratta di una percentuale modesta, stiamo sempre parlando di migliaia di persone. Sono esse il nemico che abbiamo in casa, una testa di ponte del delirante Califfato che ormai gioca a carte scoperte.  Quando uno guarda a Paesi come la Francia, l’Inghilterra o il Belgio, si rende conto di quanto questo nemico sia presente e ramificato, ma anche l’Italia non è in salvo.

Nei giorni scorsi, il Ministro dell’Interno Alfano ha espulso l’Imam della moschea di San Donà del Piave, Abd Al-Barr Al-Rawdhi, che predicava sermoni pieni di odio contro Israele e gli ebrei, invocando il loro annichilamento. Il decreto di espulsione parla di “grave alterazione dell’ordine pubblico” e di “pericolo per la sicurezza nazionale”. Il Ministro ha poi commentato che questa decisione deve servire di esempio e di monito. Viene voglia di dire: finalmente! Adesso non mancheranno i soliti utili idioti della sinistra radical-vendoliana e delle reti sociali ad accusare Alfano di razzismo e di discriminazione. Ma il Ministro ha fatto semplicemente il suo dovere, perché Abd Al-Barr Al-Rawdhi abusava gravemente dell’ospitalità del nostro Paese, ne violava le leggi e i costumi e non merita di restarci un solo giorno di più. C’è solo da sperare che non si tratti di un gesto isolato, ma di una linea sistematica che colpisca chi, in casa nostra, incita alla violenza di qualsiasi tipo, rifiuta la nostra cultura e disprezza il nostro modo di vita. Non si invochino, per favore, il rispetto della diversità. Di questo passo finiremo col giustificare la “diversità” del delinquente comune.

Da Voltaire in poi si discute se la tolleranza debba arrivare al punto di accettare anche quelli che si propongono di cancellarla (in una diversa versione, ci si chiede se la democrazia liberale debba lasciare esistere anche chi si propone di distruggerla). È un dibattito sul sesso degli angeli e la risposta è ovvia: no, con gli intolleranti non si può essere tolleranti, con gli illiberali non si può essere liberali. Se no alla fine l’avranno vinta loro.

©Futuro Europa®

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