Africa, i nuovi “missionari”

Chi pensava che si fosse messo un punto alla storia di Al Qaeda? L’attacco al centro commerciale Westgate Mall di Nairobi, lo scorso 21 Settembre, i continui atti sanguinari di Boko Haram che tormentano la Nigeria, l’offensiva che qualche mese fa ha quasi portato alla caduta del Mali, sedata in parte con la regia francese, ma ancora non risolta, sono tutte azioni che ci obbligano, almeno moralmente, a riconsiderare la pericolosità del focolaio africano dei gruppi jihadisti.

Per diversi esperti della Regione, l’Africa dell’Est è per natura meno ricettiva all’estremismo musulmano rispetto alle zone del Sahel e sub sahariane. In Kenya, i musulmani rappresentano appena l’11% della popolazione, ossia 5 milioni di anime tradizionalmente concentrate nella zona costiera. Molte di loro sono originarie della Somalia o della Tanzania. Nell’insieme della Regione, ad eccezione della dittatura di Idi Amin Dada (1971-1979), in Uganda, non si è mai messo in luce nessun leader musulmano abbastanza carismatico da prendere il potere. Altro fattore falsamente rassicurante, l’estremismo islamico dell’Africa dell’Est, molto spesso animato da elementi stranieri, è stato pesantemente represso dai Governi locali, compresi quelli la cui popolazione è a maggioranza musulmana.

Abbiamo però da poco assistito in Kenya a quello che è stato definito il più grande assalto terrorista, secondo solo al terrificante assalto all’Ambasciata americana di Nairobi (259 morti), nel 1998. Le costatazioni degli esperti vanno quindi stemperate. Per prima cosa, perché gli attacchi degli Shebab (“giovani” in arabo) sono ricorrenti e non fanno che confermare la sottomissione ad Al Qaeda. Cacciati da Mogadiscio, la capitale della Somalia, nell’Agosto del 2011, dalle forze dell’Unione Africana (Amisom), chiamate in sostegno alle truppe governa mentali somale, hanno appena tentato un offensiva molto audace in Kenya. L’attacco di Nairobi non è che un “effetto collaterale” della guerra in Somalia, perpetrato dagli Shebab più estremisti, con l’obbiettivo di rovinare il turismo keniota e destabilizzare l’intera Regione. Secondo punto. Anche se minoritari in Africa dell’Est, i musulmani sono cresciuti molto sul continente africano dagli anni ’90 ad oggi. In Kenya, per esempio, migliaia di Masai si sono convertiti all’Islam e personalità di fede musulmana hanno avuto accesso, negli ultimi venti anni, ad incarichi importanti. La crescita è ancora più forte nell’Africa sub sahariana dove si contano ormai tra i 250 e i 250 milioni di musulmani, contro i 50 degli anni ’60. Oggi, 1 musulmano su 5 vive nel il Sud del Sahara e la Nigeria è diventata, con i suoi 77 milioni di fedeli, la quinta nazione islamica. Questi dati devono essere relativizzati dall’esplosione demografica globale dell’Africa, che vede i cristiani coinvolti in questa crescita esponenziale allo stesso modo dei musulmani.

Ma quello che fa nascere nuove preoccupazioni è il coinvolgimento sempre più stretto di diversi Paesi islamisti nel cuore dell’Islam nero. I Paesi del Golfo, come l’Arabia Saudita, finanziano l’insegnamento dell’Islam più tradizionale e rigido, lontano dal sincretismo musulmano africano, tradizionalmente basato su legami di fratellanza. L’Iran, da parte sua, ha aperto, in 30 anni, più di 20 Ambasciate in Africa sub sahariana, ha offerto il suo aiuto tecnico e inaugurato numerosi centri culturali islamici. I nuovi “missionari” dell’Africa trovano in questo vasto continente un mercato d’anime molto promettente, cosa che non mancherà di aggiungere alla povertà endemica, al banditismo e ai molteplici conflitti interetnici una dimensione religiosa della quale gli jihadisti non hanno finito di servirsi. Gli ultimi esempi? Dopo Nairobi la scia di sangue non si è fermata. Come abbiamo accennato all’inizio, un’autobomba è esplosa il 28 Settembre davanti ad un accampamento militare a Timbuctù. I responsabili dell’esercito del Mali di stanza a Timbuctù affermano che l’attentato è firmato Aqmi, Al Qaeda nel Maghreb islamico. In effetti è il loro modus operandi. L’ultimo attentato data di sei mesi fa. Alcuni membri del movimento islamista Boko Haram hanno ucciso almeno 27 persone questa settimana in due attacchi contro dei villaggi del Nord della Nigeria, una regione sempre in preda agli attentati nonostante l’offensiva dell’esercito lo scorso Maggio. La Regione, che stava vivendo un momento di relativa calma è di nuovo teatro di violenze. Boko Haram, il cui nome significa “la cultura occidentale è peccato” e che vorrebbe istaurare un califfato islamico nel Nord del Paese più popolato dell’Africa, ha cominciato la sua lotta sanguinaria nel 2009. E’ sospettato di aver recentemente stabilito dei legami con Aqmi, attivo nel perimetro sahelo-sahariano.

La minaccia jihadista, che si chiami Shebab, Aqmi, Boko Haram o Al Qaeda è viva più che mai, anzi sembra rinvigorita. La tattica è precisa: farsi “dimenticare” per riprendere forza e colpire cogliendo di sorpresa. Dettaglio da non trascurare, non sono mai a corto di logistica, e cioè di armi, mezzi, carburante e, molto probabilmente anche, nel cuore del deserto, un centro di formazione di kamikaze molto attivo. I loro combattenti indottrinati sono sempre pronti a morire.

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