Economia

Inflazione, dazi e dollaro: un mix esplosivo

L’inflazione a giugno – A giugno, l’inflazione a livello di eurozona è lievemente cresciuta, attestandosi intorno a un +2% rispetto al 2024. Più in particolare, i prezzi hanno ancora dato segni di irrequietezza, crescendo in Spagna, Francia e soprattutto in Portogallo, dove sono aumentati di un 3,1% rispetto al 2024. Per quanto riguarda l’Italia, si è evidenziato che l’inflazione a giugno nel nostro Paese si è attestata intorno a un +1,7%, in lieve aumento rispetto al dato di maggio, ma comunque sotto il target del 2% fissato dalla BCE. Da evidenziare è il fatto che a giugno si è ampliato il divario tra questo dato e quello relativo all’inflazione percepita, trainata da un carrello della spesa aumentato del 3,1% e dall’aumento dei beni alimentari cresciuti di un 4,2%. Questo andamento farebbe pensare alla presenza di spinte speculative occasionali, che ancora trovano terreno fertile in questo clima di incertezza generale e anche in una certa assuefazione da parte dei consumatori rispetto alle tensioni sui prezzi.

Inflazione e dazi – Il problema è che una inflazione in remissione, ma ancora ben presente sotto la cenere, potrebbe ravvivarsi a causa di nuove tensioni sul fronte dei dazi. Infatti, la fine della tregua commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea, prevista per il 9 di luglio, potrebbe rapidamente lasciare il passo, in assenza di accordi, a un nuovo scenario caratterizzato da dazi americani compresi tra il 20 e il 50%, e da controdazi europei altrettanto incisivi. Ovviamente, le conseguenze di una nuova battaglia sui dazi sarebbero notevoli per le aziende italiane esportatrici. Infatti, da una parte si assisterebbe all’inevitabile contrazione del nostro export verso gli Stati Uniti, mentre dall’altra le nostre aziende, perdendo margini sull’export verso l’America, potrebbero trovarsi costrette ad aumentare i prezzi sui prodotti venduti in Italia, generando così nuove spinte inflazionistiche.

Dazi e dollaro – Oltre ai dazi, anche un dollaro debole rispetto all’euro finisce per danneggiare i nostri esportatori, che non solo si vedono ridurre gli acquisti americani, ma vengono anche pagati con una moneta che si è svalutata a una velocità che non si vedeva dal 1973. A questo proposito, il presidente di Confindustria Orsini di recente ha ricordato che, ipotizzando dazi americani al 10% e considerando una svalutazione del dollaro sull’euro a giugno 2025 del 13,5%, si arriva a una percentuale del 23,5%, con un impatto sulle nostre aziende di circa 20 miliardi di euro. E il fatto che, secondo JP Morgan, la guerra dei dazi voluta da Trump stia costando alle aziende americane circa 83 miliardi di dollari costituisce per noi una ben magra consolazione, ma aiuta a sperare che un accordo commerciale accettabile per l’Europa e per gli Stati Uniti alla fine si possa raggiungere.

[NdR – Fonte Teleborsa.it che si ringrazia per la collaborazione – Andrea Ferretti è docente al corso di Gestione delle Imprese Familiari – Università di Verona]

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