La Sindrome di Peppone

La sindrome di Peter Pan è la situazione psicologica di chi non vuole crescere, che si rifiuta di diventare adulto e assumersi responsabilità da parte di chi ritiene il mondo degli adulti un qualcosa di ostile; seppur non ancora inserita nei manuali, è entrata ormai nel parlare comune. Chissà se tra qualche anno troverà ingresso, perlomeno nelle chiacchiere tra amici la Sindrome di Peppone che con quella di Peter Pan, sembra avere molte caratteristiche in comune.

Per chi avesse la sfortuna, o disgrazia, di non conoscerlo, Peppone, al secolo Giuseppe Bottazzi, è il sindaco comunista di un paese della bassa, eterno rivale del parroco Don Camillo nei racconti e libri di Giovanni Guareschi.  Nati in un periodo storico particolare, Peppone e Don Camillo si sfidano ogni giorno, ognuno fermo sulle proprie posizioni e convinzioni, in un’Italia che viveva una difficile ricostruzione e nella quale convivevano anime profondamente diverse che, nella realtà, si scontrarono duramente. Ma nei testi di Guareschi i personaggi facevano sorridere e riflettere gli attenti lettori dell’epoca, e i film che ne vennero tratti restano capolavori del cinema non solo italiano.

Le idee dei due protagonisti e il modo di viverle sono il fulcro su cui ruota la vicenda: ovviamente cattoliche quelle del prete, fermamente comuniste quelle di Peppone; ed entrambi sono adepti di strettissima osservanza in un’Italia in cui realmente si viveva come loro. Protagonisti nei loro anni di una realtà campanilistica, i due personaggi sono stati i simboli di quel momento storico in cui lo slogan creato dal loro autore per le elezioni politiche del ‘48 (Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede e Stalin no), si racconta ebbe non poco peso nella sconfitta del Fronte delle sinistre, all’epoca unite.

Peppone è comunista fino al midollo. Per lui il dogma di Mosca, del pugno chiuso e della classe proletaria e operaia, del popolo lavoratore, non sono una semplice bandiera che si è rafforzata durante gli anni in cui ha partecipato alla Resistenza, combattendo fascisti e nazisti, per poi essere eletto sindaco in un paesino mai identificato da Guareschi e poi incarnato da Brescello, nel cuore di quello che viene definito il triangolo della morte o triangolo rosso.

Peppone, pur descritto uomo dal grande cuore e capace di sentimenti, aveva però la sua ideologia in cui credeva, prima come capo dei comunisti locali e poi come sindaco; e non poteva derogare fino a  negare anche la più palese evidenza. Emblematica la scena in cui rifiuta di voler credere in una certa Russia perché “voglio continuare a credere nella mia!”. Comunismo e partito prima di tutto.

Ma i contesti sociali e politici che facevano esistere e sopravvivere Peppone non ci sono più. Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica e il venir meno dei regimi dell’Est Europa, i partiti comunisti si sono sciolti. Resiste con i suoi distinguo Cuba, baluardo di un’epoca in cui esistevano la Guerra Fredda e il colonialismo e in cui la guerra del Vietnam era una delle ragioni per giustificare da lontano, e senza comprenderla, una opposizione dogmatica a sistemi che si affermavano con il progresso e il benessere. Peppone credeva ottusamente a Mao e a Mosca, guardava con nostalgia le foto del Che e non capiva che il popolo lavoratore andava, anche se lentamente, verso il benessere che il capitalismo gli permetteva.

Poi fu Gorbaciov e la perestroika; Reagan e la Thatcher e, in pochi mesi, l’impero sovietico si dissolse. L’abbattimento del muro di Berlino, simbolo triste di quegli anni e sulle cui macerie la notte del 9 novembre del 1989, passarono migliaia di persone senza subire le reazioni della Volkspolizei. A proposito: il Muro di Berlino era chiamato dai sovietici e nella disciolta DDR “Barriera di protezione antifascista”. Un modo carino per dire che le idee diverse non erano tollerate.

Anche il PCI, il partitone cessò la sua esistenza, ormai anacronistica e con la svolta della Bolognina nacque il PDS, diretto antenato dell’attuale PD. Ma Peppone non volle ubbidire agli ordini del Partito. Peppone rimase fedele alla sua idea, alla bandiera rossa, alla falce e martello e continuò a cantare Bella Ciao. E anche oggi continua. Esistono ancora i Pepponi che non vogliono arrendersi, che si dichiarano comunisti e non abbandonano né le loro posizioni né le loro battaglie contro i nemici storici: il fascismo, il capitalismo, lo sfruttamento del popolo lavoratore. Proprio come quando nacque il PCI. Anche se quei nemici sono cambiati, sono diversi, calati in nuovi contesti, Peppone li vede ancora come erano nel passato: fedele alla linea e al verbo di Marx.

I Pepponi di oggi si sono uniti, almeno in Italia, in diverse formazioni politiche che, ad ogni elezione, hanno visto sempre più l’assottigliarsi delle loro fila, ma sopravvivono arroccandosi su idee che probabilmente erano già obsolete quando Marx scrisse il Capitale, nel 1867 (una ampia parte venne pubblicata quando l’autore era già deceduto), scrivendo oltretutto su contesti che risalivano ad almeno 50 anni prima e analizzati più in diretta da Bentham. Probabilmente Marx era già anacronistico come Peppone lo è oggi.

Ma i fedeli alla linea non demordono e, novelli Peter Pan politici, rifiutano di affrontare i nuovi contesti e continuano a combattere la loro battaglia, vedendo ovunque il loro nemico di sempre e cercandolo in situazioni e contesti che nulla hanno a che vedere con il passato e, anche se decisamente pericolosi, hanno bisogno di risposte diverse che non siano cantare in coro Bandiera Rossa. Già Gaber lo diceva.

Ma, e questo è il vero dramma, il Peppone di oggi non riesce a comprendere che con queste sue opposizioni demagogiche non riesce a portare un contributo ad un dibattito politico e sociale; crea solo ostacoli alla creazione di alternative politiche o possibili maggioranze parlamentari. Indebolisce la creazione di formazioni nuove che possano meglio portare avanti un’idea.

Ma è inutile dirglielo. Come Peter Pan non vuole crescere, Peppone resta Peppone e rifiuterà, proprio come l’eterno bambino, anche solo di ascoltare, per il suo stesso bene, la voce di chi gli dice che il mondo è cambiato.

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