Valerio Onida: Riforme, sbagliato concentrare il potere nel capo dell’esecutivo

Professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano dal 1983 al 2009, il Presidente Emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida, venne eletto giudice costituzionale dal Parlamento in seduta comune il 24 gennaio 1996, diviene presidente della Corte costituzionale il 22 settembre 2004. A tutta questa prestigiosa carriera aggiunge la Presidenza dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Presidente del Comitato Direttivo della Scuola Superiore della Magistratura, per la sua altissima statura personale di esimio costituzionalista viene chiamato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a far parte del cosiddetto “Comitato dei saggi” per l’elaborazione di leggi in campo economico e sociale. A tutte le sue attività di giurista ha aggiunto una serie di testi che sono la base di studio per studenti di ogni grado ed esperti del settore. Considerato da molti il primo giurista e costituzionalista italiano, abbiamo avuto l’opportunità di intervistarlo nel suo studio di Milano constatando anche quanto il Presidente sia persona disponibile.

Presidente, già nel 1969 lei considerava il pareggio di bilancio in Costituzione un obiettivo politico e non giuridico, argomentando che se lo si fosse considerato giuridico si sarebbe dovuto dettare un combinato rigido in maniera tale che ad ogni uscita corrispondesse una pari entrata. Siamo quindi di fronte solo ad una mera enunciazione di principio?

Prima della recente riforma dell’articolo 81 della Costituzione non si poteva parlare di un obbligo costituzionale di pareggio. Nemmeno il nuovo articolo 81 parla di “pareggio”, ma si limita a stabilire che “lo Stato assicura l’equilibrio fra le entrate e le spese del proprio bilancio”, tenendo conto dell’andamento del ciclo economico. Non è però facile, in concreto, definire questo equilibrio.  Sicuramente oggi si tratta non  più solo di un obiettivo politico, ma di un vincolo costituzionale. Il fatto è che in passato si è espanso a dismisura il debito pubblico, dimenticando che, come in una famiglia,  quando si assumono debiti bisogna anche prevedere il modo di ripagarli Oggi paghiamo quella dimenticanza.  

Molti economisti, compreso il comitato dei grandi 8 saggi statunitensi (tra cui 5 Nobel) sull’argomento del pareggio in bilancio appuntano anche come questo ponga l’amministrazione pubblica in svantaggio rispetto al privato, in modo particolare in particolari cicli economici quando potersi indebitare per investimenti strutturali sarebbe un fatto positivo, Lei concorda con questa impostazione? 

Come i privati,  anche lo Stato dovrebbe avere la possibilità di ricorre al deficit spending quando questo risponda a meditati criteri di politica finanziaria. Per questo ho dei dubbi sulla opportunità della riforma costituzionale, pur con tutti i temperamenti che la caratterizzano. Ancor più dubito dell’opportunità di trovarsi a  far decidere da una Corte costituzionale se un certo bilancio sia o non sia conforme a criteri che sono essenzialmente politico-economici. Ma, appunto, paghiamo ora gli eccessi della finanza “allegra”.

A FARETE ha ricordato come l’art.4 della Costituzione definisca come lavoro qualunque attività concorra al progresso della Società, il giorno prima il prof. Fumagalli aveva asserito come il reddito di cittadinanza vada inteso, non come rendita ai “fannulloni”, ma come un investimento sulla persona che in questo modo condorrebbe al miglioramento della società. Lei ritiene quindi che le dichiarazioni del prof. Fumagalli trovino riscontro nel dettato Costituzionale citato?

La Costituzione parla di un dovere di tutti di lavorare, nel senso di svolgere “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. IL lavoro non è solo lo strumento che mi dà i mezzi per  mantenere me e la mia famiglia, ma è anche un mio contributo per concorrere al progresso della società. Perciò,  per esempio, sarebbe giusto che le forme di sussidio che devono essere date a chi non abbia un lavoro, per garantire a tutti il godimento dei beni essenziali per vivere, venissero accompagnate, per chi è in condizione di lavorare, da attività di formazione, da aiuti concreti per  trovare o ritrovare un impiego, e dall’obbligo di accettare opportunità di lavoro: non dovrebbe trattarsi di puro assistenzialismo.

Cosa ne pensa delle modifiche in corso d’opera adesso, le Province abolite che in realtà non spariscono?

Sono contrario all’abolizione pura e semplice delle Province in tutte le Regioni, comprese quelle più grandi. In una Regione grande come la Lombardia, con 1.500 Comuni, non è pensabile che non vi siano enti di governo territoriale intermedi. Le Province potrebbero essere eliminate nelle Regioni più piccole, e per il resto razionalizzate anche riducendole di numero: ma non dovrebbero sparire, nemmeno nella Costituzione.  

Il Senato che dovrebbe sparire ed invece diventa qualcosa tipo la Conferenza Stato-Regioni, il suo pensiero su questo?  Un Senato come quello che viene prospettato non appare molto simile, se non un doppione, della Conferenza Stato Regioni?

Il Senato in realtà non sparisce, ma si  trasforma, secondo il progetto in discussione,  in un’assemblea che non sarebbe più uguale alla Camera eletta su base politico-partitica dai cittadini, e non sarebbe più titolare delle stesse  attribuzioni. Diverrebbe  un’assemblea  rappresentativa delle istituzioni regionali, col ruolo di portare al centro, in Parlamento, nella sede della legislazione statale, la voce delle Regioni. Sarebbe bene che le delegazioni delle singole Regioni, che formeranno il Senato, votassero in esso in modo unitario, portando appunto la voce della Regione in quanto tale. La Conferenza Stato-Regioni è un’altra cosa, è uno strumento di raccordo e consultazione fra esecutivo statale ed esecutivi regionali, sul piano amministrativo.  

Ritiene che la Costituzione vada bene così com’è o che abbia bisogno di modifiche? Consideriamo anche che oramai ha una settantina d’anni, una revisione potrebbe essere consigliabile? Quali modifiche apporterebbe nel caso?

La Costituzione va benissimo così com’è nel suo impianto, poi che si possano apportare modifiche di dettaglio è senz’altro vero. Di queste ve ne sono state già diverse. Sicuramente non si dovrebbe toccare la  forma parlamentare di governo, cedendo alle spinte verso sistemi di forte concentrazione del potere nel capo dell’esecutivo. Nel vero presidenzialismo, quello modello USA, c’è un equilibrio perché il Presidente si confronta con un potere parlamentare forte, del tutto indipendente, e spesso espressione di una maggioranza diversa da quella che ha eletto il Presidente medesimo. Il “presidenzialismo all’italiana”, che si esprime in certe proposte, esprimerebbe invece un capo dell’esecutivo eletto direttamente che controlla anche la maggioranza parlamentare, quindi senza equilibrio. Anche l’idea di una legislazione elettorale che produca artificiosamente un bipolarismo fra uno schieramento di governo e uno di opposizione, rigidamente predeterminati al momento delle elezioni, con eliminazione di ogni terza forza ed esclusione di coalizioni formatesi dopo le elezioni sulla base dei risultati di queste, secondo me è inopportuna: produrrebbe una forte polarizzazione degli schieramenti con possibile prevalenza di posizioni  estremistiche. Che esista invece uno spazio di incontro e talvolta anche di collaborazione fra forze contrapposte in Parlamento è invece fisiologico e in certi casi opportuno.  

La Costituzione americana era già tacciata di essere una legge aristocratica per assicurare un potere oligarchico a scapito delle masse dagli studiosi di Madison, tale accusa è stata estesa anche a quella italiana per i 3 governi non eletti che si sono succeduti in questi anni, qual è il suo parere su queste interpretazioni?

Nelle odierne democrazie di massa il problema non è quello di un’alternativa fra aristocrazia e democrazia, ma dei soggetti collettivi (i partiti) che sono chiamati a raccordare società e Stato, veicolando e anche orientando e guidando le istanze della “base” nelle istituzioni, non semplicemente inseguendo il consenso più facile per impadronirsi del potere. Le istanze populistiche e le idee dell’”uomo solo al comando” portano non a una democrazia diretta, ma ad una democrazia apparente.

Stiamo assistendo in questi giorni al triste spettacolo  della “non nomina” dei membri di nomina parlamentare della Corte Costituzionale, quali modifiche apporterebbe per evitare il ripetersi di tali avvenimenti? Il semplice abbassamento del quorum non è una soluzione sbrigativa?

Non è la prima volta che succede, abbiamo avuto attese anche di anni. Sicuramente non è una bella cosa, anche se la Corte è in grado di operare pur senza essere al completo. Le difficoltà odierne sono solo politiche, in relazione alla scarsa compattezza dei gruppi parlamentari. Non toccherei il quorum elevato, il quale  dovrebbe garantire  che le scelte, pur proposte da una o da altra parte, trovino  un consenso largo in ragione delle qualità dei designati.

All’atto dell’emanazione della Carta di Nizza sui diritti dei cittadini europei, mise in risalto come all’estero essa venisse vista come base costituzionale, ma altrettanto non valeva per il la Corte Costituzionale italiana, se non a fatica. Ad oggi qual è lo stato dell’arte del recepimento della Carta di Nizza nel diritto italiano?

La “Carta  di Nizza, oggi entrata a far parte dei Trattati,  è la carta dei diritti dei cittadini dell’Unione europea, cui devono conformarsi anzitutto le altre norme dell’Unione: peraltro nei contenuti non è molto diversa dalle Carte costituzionali nazionali come la nostra, e dalla Convenzione europea dei diritti dell’’uomo, cui aderiscono 47 Stati dell’Europa, dalla Gran Bretagna alla Russia e alla Turchia. La Carta dell’Unione ha qualcosa in più, non tanto rispetto alla nostra Costituzione, quanto rispetto alla CEDU (così in materia di diritti sociali), pur ispirandosi e conformandosi per il resto alla stessa CEDU.

In caso di conflitto tra diritto europeo ed italiano la prevalenza è sempre di quello interno?

Il diritto dell’Unione europea prevale  su quello nazionale. Deve essere recepito nella legislazione nazionale  quando lascia agli Stati membri la scelta dei modi di attuazione. Oggi peraltro gran parte delle norme europee sono “auto-applicative”, e dunque devono essere applicate dai giudici nazionali anche in luogo delle norme interne che vi contrastino (le quali, in ragione di tale contrasto, sarebbero altresì incostituzionali).  In caso di dubbio sull’interpretazione di una norma europea, il giudice italiano pone il quesito alla Corte di Giustizia dell’Unione. L’unico caso in cui il diritto dell’Unione non prevarrebbe su quello italiano è quello, largamente ipotetico, in cui si dovesse riscontrare che la norma europea contrasti con i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale.

In merito alla precedente domanda se si ritiene l’art.30 della Carta di Nizza dove si tratta della tutela dai licenziamenti ingiustificati, una abrogazione dell’art.18 dello Statuto potrebbe dare adito a ricorsi e conflitti considerando che la modifica dell’art.117 ha dato valenza costituzionale alle norme europee ponendole quindi tra la nostra Costituzione e la legislazione ordinaria?

Per il nostro diritto, il licenziamento è legittimo solo se vi è giusta causa o giustificato motivo. Il problema oggi discusso non è però quello se si possa considerare legittimo (e non si potrebbe) il licenziamento senza giusta causa, ma è quello della sanzione conseguente all’accertamento della mancanza della giusta causa, se cioè debba consistere, come oggi è nelle imprese con più di 15 dipendenti, nel reintegro del lavoratore (cosiddetta tutela reale), o in una sanzione economica. L’articolo 30 della Carta di Nizza dice che “ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali”, ma non dice quale debba essere la sanzione per il licenziamento ingiustificato, cioè che esso debba sempre essere il reintegro.

©Futuro Europa®

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2 Commenti per "Valerio Onida: Riforme, sbagliato concentrare il potere nel capo dell’esecutivo"

  1. Ammiro la chiarezza e la sobrietà di questa intervista, tanto più utile nel contesto vociante e spesso gratuitamente conflittuale che caratterizza porzioni rilevanti dei partiti, dei mass media e del popolo sovrano. Un Parlamento che ha trovato l’accordo su persone del livello di Valerio Onida non dovrebbe sprecare tanto tempo a cercare persone simili per la Corte Costituzionale. Non sono molto numerose, ma ci sono. Basta cercare e non pretendere di stravincere o di far dispetto agli altri.

    • Grazie,
      intervistare il Presidente Onida è stato difficile nella preparazione, ma estremamente gratificante per la persona di esemplare chiarezza e signorilità che è, oltre che essere considerato, probabilmente, il primo giurista italiano.

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