Cronache dai Palazzi

Palazzi aperti anche ad agosto. L’esecutivo italiano è al lavoro per sbloccare le questioni Imu ed Iva ma il  nodo più duro da sciogliere è un altro: l’agibilità politica dell’indiscusso leader pidiellino e la sua eventuale decadenza. Le posizioni Letta e Alfano restano “distanti” e il premier in carica sottolinea che è “inaccettabile” legare il destino del governo a una questione che riguarda il Parlamento. Istituzioni intricate quindi, e Palazzi in subbuglio. La data del 9 settembre si avvicina e il Pdl avverte: non possiamo restare alleati con chi vuole far cadere il nostro leader.

Mentre imperano i dissapori tra i due maggiori partiti i problemi reali del Paese rimangono comunque irrisolti: crisi, disoccupazione, debito pubblico, pensioni d’oro, tasse in aumento. Nei giorni scorsi un Letta fiducioso riteneva che Berlusconi, alla fin fine, non avrebbe staccato la spina al governo per fare l’interesse del Paese: la stabilità governativa è strettamente legata al ripristino delle condizioni di un ritrovato sviluppo economico ancora da definire e che non può, in nessun modo, essere stroncato sul nascere. Ma dopo il faccia a faccia con il vicepremier pidiellino le questioni si sono rivelate più complicate del solito: “Il Pdl  – hanno riferito fonti del partito a ridosso del vertice Letta-Alfano – non ha intenzione di far cadere il governo che ha fortemente voluto nell’interesse del Paese, ma non va bene, a questo fine, l’atteggiamento pregiudiziale del Pd”. “Pregiudiziale” significa restìo a tenere conto dei dubbi espressi da illustri giuristi sulla retroattività della legge Severino e quindi la sua effettiva applicabilità al caso Berlusconi.

La guerra dei vent’anni dunque continua, Pd e Pdl continuano a lottare l’uno contro l’altro in un momento in cui tutti i nodi delle larghe intese sembrano venire al pettine. A dispetto delle aperture del centrosinistra sull’Imu, le larghe intese sono seriamente minacciate da questioni politiche, oltreché giudiziarie, e la decadenza del Cavaliere rimane il problema principale. “Paradossale far cadere il governo ora che la terra promessa è vicina”, ha ammonito Letta confidando nella “responsabilità e nella lungimiranza di tutti”, anche all’interno del suo partito, ma il destino del governo italiano sembra essere inesorabilmente legato al destino del Cavaliere, nonostante Letta la ritenga una situazione “inaccettabile”. Niente ricatti, ha ammonito il premier, in pratica nessun baratto tra legalità e stabilità governativa. Mentre dal Quirinale arriva l’invito a proseguire sulla strada intrapresa: “Vai avanti con il tuo governo”, ha affermato il Capo dello Stato rivolgendosi a Enrico Letta.

Il messaggio di Letta, in particolare, mira a smorzare i toni di un bipolarismo muscolare che si nutre, ormai da diversi anni, di contrapposizioni continue e mal sopporta la retorica della pacificazione e della concordia. Sotto la cenere delle larghe intese si nascondono in effetti i focolai di una guerriglia distruttiva che potrebbero tornare a fiammeggiare: sia il Pd sia il Pdl sembrano vivere l’attuale governo come una camicia di forza, un obbligo da adempiere obtorto collo per fare il bene del Paese, celando però la tentazione di staccare la spina se gli interessi del proprio partito dovessero richiederlo. Recidendo l’esecutivo si aggiungerebbe comunque fallimento al fallimento e prevarrebbe il primitivismo culturale che, da sinistra come da destra, liquida e squalifica come “inciucio” ogni tipo di accordo.

Il 9 settembre la Giunta per le elezioni del Senato dovrà decidere sul caso Berlusconi in base a criteri giuridici e non politici anche se il suddetto ‘caso’ rimane una ‘questione politica’ che in questi giorni fa discutere l’Italia e mette il Paese in discussione, soprattutto di fronte alle istituzioni europee: perdere la stabilità di fronte all’Ue significherebbe il collasso e un’eventuale crisi di governo non verrebbe del resto compresa nemmeno da una larga fetta di elettorato del centrodestra, a cominciare da quel mondo imprenditoriale che non ha certo voglia di perdere tempo dietro ad un’ennesima stagione elettorale ne di sentir raccontare le solite ‘beghe’ politiche.

Una crisi politica avrebbe conseguenze nefaste per l’Italia ma i “professionisti del conflitto” – come li ha definiti il premier in carica – sono sempre in agguato, sia a destra sia a sinistra, e tutto sembrano fare tranne che operare nell’interesse generale. Il dibattito “dem” rimane fermo sul rispetto del “principio di legalità” – come ha affermato Epifani – e l’immediata applicabilità della pena come necessaria conseguenza di una sentenza già ampiamente dichiarata: “le sentenze della magistratura possono non piacere – ha aggiunto Epifani – ma vanno rispettate e vanno fatte eseguire”.

Il dibattito pidiellino, invece, non sembra disposto a concedere troppi spazi, pone delle condizioni precise nel trattare il caso Berlusconi e tenta un’ultima mediazione per il salvataggio politico del Cavaliere, e quindi delle larghe intese. “Noi chiediamo molto chiaramente che il Pd rifletta astraendosi dalla storica inimicizia degli ultimi 20 anni e rifletta sull’opportunità di votare no alla decadenza di Silvio Berlusconi”, ha dichiarato Angelino Alfano che ha sottolineato: “Il Pdl non chiede al Pd un gesto e un voto a favore del presidente Berlusconi ma chiede con altrettanta forza al Pd di non dare un voto ‘contra personam’, contro il loro avversario di sempre, contro il loro nemico storico”. “Alle minacce e agli ultimatum basta rispondere con un principio molto semplice: non si barattano legalità e rispetto delle regole con la durata di un governo”, ha ammonito invece Dario Franceschini.

La Giunta per elezioni del Senato, comunque, potrebbe al limite concedere più tempo al Cavaliere ma molto presto la Corte d’appello di Milano riformulerà la pena accessoria dell’interdizione, dopodiché la ricerca di una soluzione politica si farà davvero molto complessa. Berlusconi, a sua volta, definisce la sentenza “una sentenza infondata, ingiusta, addirittura incredibile” e afferma che ci sono “molte strade” per salvarlo. “Possono farmi tutto – afferma il Cavaliere – ma non possono togliermi tre cose. Non possono togliermi il diritto di parola sulla scena pubblica e civile italiana. Non possono togliermi il diritto di animare e guidare il movimento politico che ho fondato. Non possono togliermi il diritto di essere ancora il riferimento per milioni di italiani, finché questi cittadini liberamente lo vorranno”. Una dichiarazione lapidaria con la quale il Cavaliere liquida il dibattito sulla successione all’interno del proprio partito e evidenzia la volontà di restare sulla scena nonostante tutto.

Prima del 9 settembre il Pd dovrà comunque decidere la linea ufficiale da tenere nella votazione sull’ineleggibilità dell’ex premier e il Pdl dovrà comunque compattarsi sulla strada da seguire. In fondo per servire la decadenza al Cavaliere basterebbero una ventina di senatori che uscissero dal gruppo, una “fronda” di pidiellini de-berlusconizzata.

L’Italia, infine, non può permettersi di indebolirsi ulteriormente perdendo la stabilità governativa proprio ora che tutti i fari sono puntati sul Bel Paese, che sembra rialzarsi dopo tanti mesi di arduo rigore, di fronte ad un’Europa che attende con ansia il responso delle elezioni tedesche con il rischio di vedere una Merkel-bis, quindi rafforzata, che in sede europea torni a forzare la mano sul caso Berlusconi ora ulteriormente indebolito dalle sentenze. Uno scenario nero che il Cavaliere non può non considerare tantoché, al di là di tutto, un’eventuale crisi di governo in verità non convince nemmeno lui che sembra così agguerrito e convinto a non mollare.

Il frutto avvelenato della Seconda Repubblica, il conflitto tra giustizia e politica – che in verità è un rimasuglio della Prima repubblica – deturpa il Paese Italia da vent’anni, ancor prima che l’uomo di Arcore scendesse in campo e molto probabilmente si perpetuerà anche dopo, quando Berlusconi sarà uscito dalla scena. Il problema sollevato da Montesquieu che “il potere arresti il potere” e una separazione che in Italia viene interpretata più come difesa degli interessi ‘di parte’ che come rispetto e mantenimento dello Stato di diritto.

Ogni cosa accadrà durante i prossimi quindici giorni, da qui al 9 settembre, sarà comunque una sorpresa e la vera sfida che il governo italiano dovrà fronteggiare non sarà la “soluzione politica” per l’ex premier, bensì le varie risoluzioni a proposito di Imu, Iva, riforma della pubblica amministrazione che l’esecutivo si appresta a presentare entro la fine del mese.

© Futuro Europa

Print Friendly, PDF & Email
Condividi

Sii il primo a commentare su "Cronache dai Palazzi"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato


*