Orecchie da mercante con l’Europa

Salario minimo, banda larga, lotta alla corruzione. E ancora: istruzione, liberalizzazioni, fondi europei usati poco e male. La lista delle richieste fatta da Bruxelles e ignorate sistematicamente dall’Italia è lunga. Indicazioni che l’Europa rinnova da anni ma che a Roma si fa finta di non sentire. Quello che i vari governi recepiscono sono solo le richieste per manovre “lacrime e sangue”: con la scusa del “ce lo chiede l’Europa”, si alzano tasse e aliquote varie. Ma per quelle misure più strutturali che, in prospettiva, dovrebbero favorire la crescita e far diminuire gli “squilibri macroeconomici eccessivi”, non c’è mai tempo.

Iniziamo dal reddito minimo. L’Italia è l’unico Paese di Eurolandia, insieme alla Grecia, e non aver adottato questa misura di equità sociale che Bruxelles auspica dal 1992. Ventidue anni fa la prima raccomandazione: la CEE sollecitava gli Stati a introdurre “il reddito minimo garantito, inteso quale fattore d’inserimento nella società dei cittadini più poveri”. Negli anni il pressing è stato continuo. Nel 2011 ci prova addirittura la Bce che nella famosa lettera inviata al governo Berlusconi il 5 agosto chiedeva di “introdurre un sistema di assicurazione dalla disoccupazione”. Fatica sprecata, su questo tema l’Italia non si è mai adeguata. E’ l’unica in Europa, eccezion fatta per la Grecia.

Altro punto: lotta alla corruzione. “L’alto livello di corruzione riduce l’efficienza nell’uso delle risorse nell’economia”, è il monito di Bruxelles del 5 marzo. Ma si tratta solo dell’ultimo perché già il 3 febbraio la commissione Ue dipingeva il Belpaese come il più corrotto dell’Eurozona: “Dal 6 novembre 2012 – si legge nel rapporto – l’Italia ha sì una legge anti-corruzione ma il provvedimento presenta gravi carenze perché non modifica la normativa penale sul falso in bilancio e sull’autoriciclaggio e non introduce fattispecie di reato per il voto di scambio”. E senza contare che da noi manca ancora una legge che regoli l’attività di lobby.

Otto miliardi di tagli solo tra il 2008 e il 2011: “Il livello di istruzione in Italia è basso”, non usa mezzi termini il Consiglio d’Europa in merito al programma nazionale di riforme 2013 dell’Italia. La scuola è sempre la più tartassata, manca un sistema meritocratico di avanzamento di carriera, la precarietà è diventata la regola e con meno risorse è sempre più difficile garantire un’istruzione all’altezza. L’ultima bocciatura, giusto per rimanere in tema scolastico, da parte dell’Ue è datata 30 ottobre 2013: “L’Italia deve investire di più nell’istruzione perché è quella che spende meno rispetto a tutta l’Unione”, raccomandava la Commissione. Si spende il 4,2 per cento del Pil contro il 5,3 per cento della media Ue.

La banda larga? Un’utopia. Eravamo già indietro nel 2006 quando Vivienne Reading, commissario per la società dell’informazione e dei media, al Forum di Confindustria digitale a Roma definiva “preoccupante” il livello di copertura della banda larga a sud delle Alpi. Nel nostro Paese un terzo degli italiani non ha accesso a internet. “L’Italia dovrebbe rafforzare ulteriormente gli investimenti in infrastrutture, in modo da aumentare la disponibilità di reti a banda larga veloci”, recitava il rapporto della Commissione Ue. Speranze e poco altro perché secondo i dati aggiornati all’anno scorso, l’Italia è terzultima per la diffusione della banda, dietro a Grecia e Cipro.

Dulcis in fundo, a Roma si sprecano troppi fondi europei. Negli ultimi anni, secondo i dati dell’ex Ministero della coesione territoriale (ora, con il Governo Renzi è stato soppresso), ne abbiamo sì usati di più, ma i risultati lasciano ancora perplessi: a fine 2013 erano 16,7 i miliardi non utilizzati nel periodo 2007-2013. “Basta – si lamentava la scorsa estate il commissario alle Politiche regionali, Johannes Hahn – con la distribuzione a pioggia, l’Italia utilizzi le risorse su poche, chiare priorità”. Partendo, per esempio, dal migliorare la gestione nelle regioni del Mezzogiorno.

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