Una crisi con radici lontane

L’attuale crisi nasce dagli egoismi del sistema capitalistico, da un finanz-capitalismo che ha creduto di sostituirsi alla economia reale e da una politica monetaria che ha spinto le banche a modificare le proprie finalità istituzionali per privilegiare le operazioni speculative rispetto all’attività creditizia vera e propria.

Questo problema si pose anche all’epoca della grande depressione americana quando Roosevelt fu costretto ad emanare il Glass Steagall Act che distinse le banche dedite al credito da quelle che investivano in operazioni speculative. Proprio in questi giorni anche al Senato americano un gruppo di senatori democratici e repubblicani hanno presentato il Glass Steagall del XXI secolo in favore della separazione tra banche ordinarie e banche speculative.

Già alla fine degli anni ‘70 alcune banche tradizionali U.S.A. (Lehman Brothers e Merrill Lynch) entrarono nel mercato commerciale con nuovi strumenti ad interessi elevati scatenando una competizione che determinò un aumento del rischio bancario.

I famosi sub-prime consentirono di ottenere finanziamenti per l’acquisto della casa senza controllo sulla capacità di reddito, con una straordinaria espansione del credito.

Si crearono nuovi strumenti finanziari (cartolarizzazione) con i mutui rivenduti in cambio di titoli che avevano gli stessi mutui in garanzia, presentavano la tripla A delle agenzie di rating (!!) e la garanzia delle grandi compagnie assicurative che rilasciavano polizze per il caso di fallimento degli emittenti dei nuovi titoli. Salirono i profitti delle banche, ma anche i rischi perché la leva finanziaria (leverage), il rapporto cioè tra debito e capitale, assunse dimensioni eccessive. Le banche commerciali diventarono banche d’affari, i CRO (Chief Risk Officers) delle banche non intervenirono mentre i bonus e le stock option dei manager offrirono risultati sempre più importanti.

Da qui è nata la bolla che ha messo in ginocchio l’economia mondiale. La parola d’ordine è stata: salviamo le banche! Il governo americano ha messo in campo 9.000 miliardi di dollari per il salvataggio del sistema finanziario (800 miliardi per le banche che hanno dato in cambio azioni prive del diritto di voto). Saltano le banche irlandesi ma anche alcune banche inglesi ed europee e i governi intervengono con circa 1.600 miliardi di euro.

Il guaio è stato che il sistema bancario ha preferito usare gli aiuti per recuperare il proprio capitale anziché riattivare il credito per l’economia reale. Diminuiscono gli investimenti, i redditi e i consumi; la crisi si ripiega su sé stessa, viene meno la fiducia dei privati ed è difficile fare investimenti pubblici (o ridurre le tasse) perché non si può aumentare la spesa pubblica. Solo gli USA sono riusciti ad aumentare il debito dal 60% al 90% del PIL ed Obama è stato costretto a chiedere al Congresso l’innalzamento della soglia del debito pubblico (fissata per legge) ad oltre 14.000 miliardi di dollari con conseguenze negative per l’Europa che, dinanzi alle nuove emissioni dei titoli di stato americani, vede diminuire i prezzi dei suoi titoli perché meno affidabili. I Paesi più deboli per recuperare lo spread hanno dovuto aumentare le tasse e ridurre la spesa pubblica aggravando così la depressione.

Abbiamo dunque scoperto il colpevole della crisi? E’ il sistema bancario il responsabile di questa nuova grande depressione? Non è dubbio che le banche e più in generale il sistema finanziario siano i principali indiziati, ma le colpe vanno ricercate su un diverso livello ovvero sulle ragioni di fondo che hanno determinato quanto abbiamo descritto.

Il mio convincimento è che stiamo assistendo alle conseguenze di una degenerazione del capitalismo che, in una deriva individualista volta esclusivamente al profitto e al successo personale ha abbandonato ogni riferimento morale e comunitario ponendosi di fatto in contrapposizione con lo Stato e le sue politiche sociali costituzionalmente garantite.

Ne è scaturita una disuguaglianza crescente tra continenti, tra Stati e all’interno di ciascuno Stato che sta diventando intollerabile e determinando una bolla sociale già in via di esplosione. Probabilmente il sistema finanziario-bancario ne ha rappresentato il detonatore, ma le ragioni di fondo vanno ricercate in una dimensione più generale, più politica, più etica e più culturale.

La premessa è che il termine “mercato salvifico” è una mistificazione se vuol significare che per produrre progresso e sviluppo debba essere abbandonato a sé stesso, così come avviene quando le politiche liberiste prendono il sopravvento sullo Stato e le sue regole costituzionali; mettendo da parte i principi di libertà, dignità, solidarietà, tutela, partecipazione, rappresentanza e progresso spirituale. In una parola, quando l’etica e la centralità della persona vengono accantonate, il mercato produce solo disuguaglianze, emarginazioni e povertà che offendono i valori morali e i principi democratici. E lo sviluppo e la crescita avvengono solo per una minoranza di Stati, di gruppi, di categorie e di persone mentre cresce esponenzialmente il divario tra ricchi e poveri.

L’ideologia che sta dietro questa politica monetaria di stampo europeo è quella del mercato capace di autoregolarsi e di ritrovare sempre da solo il suo ottimale equilibrio per la complessiva felicità mondana dell’intero genere umano. Secondo un benefico ordine intrinseco all’economia ma, appunto, immanente e pertanto non trascendente.

Ma i fatti stanno ampiamente dimostrando che tale ideologia, al contrario, produce povertà, diseguaglianze, scontri sociali e offese alla dignità della persona. Non possiamo più assistere come testimoni distratti a tale degenerazione dei valori e del sistema democratico.

© Futuro Europa

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