Cronache dai Palazzi

Il copione si ripete. Di ritorno dall’estero il presidente del Consiglio trova sulla scrivania i soliti pasticci da risolvere e i soliti bisticci da mettere a tacere. Enrico Letta non abbandona comunque il suo ottimismo, necessario per andare avanti, e assicura anche a Napolitano che entro la prossima settimana chiuderà l’agognato “contratto di coalizione”.

Dopo aver raccolto i giudizi di Renzi sul suo governo – “striminzite intese”, le ha definite il leader del Pd – Letta è costretto a mediare dichiarandosi “d’accordo sulla necessità di un nuovo inizio” e promette “un risultato positivo a breve”. Il primo inquilino di Palazzo Chigi, al di là del suo bon ton, dichiara comunque di non condividere le critiche rivolte al suo gruppo di lavoro e sottolinea come il suo incarico sia stato il frutto di “uno dei tempi più complessi e travagliati della nostra storia recente”.

Matteo Renzi sembra comunque inarrestabile e addebita al governo “dieci mesi di fallimenti”, un governo in cui secondo il leader dei democratici il Pd avrebbe una responsabilità in più. “O il Pd realizza le riforme o andiamo incontro a una devastante campagna elettorale con la demagogia di Berlusconi e di Grillo”, ammonisce Renzi in direzione. “Nei prossimi quattro mesi dobbiamo portare a casa dei risultati, se andiamo avanti come se niente fosse saremo spazzati via”. Renzi sembra essere in pre-campagna elettorale e si preoccupa delle conseguenze di un 2014 senza riforme, a partire dalla legge elettorale sulla quale è guerra aperta. L’incontro con i diversi leader, tra cui anche il Cavaliere, è per Renzi un passo obbligato verso la realizzazione di quella che da più fronti viene definita una riforma ‘importante’.

“Le regole si scrivono tutti insieme, se possibile. Farle a colpi di maggioranza è uno stile che abbiamo sempre contestato”. È questa la risposta di Renzi su twitter ad Alfredo D’Attore che ha contestato arditamente il suo incontro con Berlusconi definendolo addirittura un “inciucio”. Per il leader dei dem non si può comunque non considerare “quello che dice il secondo partito italiano sulle regole” e, in questo contesto, ribadisce la necessità di stilare delle regole “che impediscano l’inciucio e le  larghe intese per il futuro”.

Il dibattito sulla legge elettorale è davvero infuocato e rischia di destabilizzare anche l’esecutivo già, di per sé, traballante (caso De Girolamo compreso). Renzi mette comunque le mani avanti e sottolinea che non è sua la responsabilità di un eventuale logoramento del governo. Il vicepremier Alfano chiede invece di non destabilizzare l’Italia per le “competizioni interne del Pd” e ricorda ai Democratici di chiarire se Letta è davvero il “presidente del Consiglio riconosciuto”.

La partita tra Alfano e Renzi, nello specifico, è tutta da giocare. I due leader continuano a scontrarsi a colpi di twitter e di interviste e in ballo non c’è solo la legge elettorale ma anche il reato di clandestinità, lo ius soli e le unioni civili. “Staremo al governo con Ncd – dichiara Renzi – il tempo necessario per approvare lo ius soli e le unioni civili alla tedesca”, in sostanza un pugno allo stomaco al Nuovo centrodestra che ha più volte ribadito la sua estraneità nei confronti di simili questioni. “Non ci siamo proprio con l’idea di ridurre i senatori a 210 – continua Renzi cercando di affondare la nave Ncd – è un clamoroso passo indietro, il problema non è ridurli ma abolire il Senato come doppione della Camera, gli va tolta ogni funzione elettiva comprese le indennità”.

A proposito di legge elettorale, invece, Renzi puntualizza: “Ci tengo a tenere salda la maggioranza e a ricercare l’intesa sulla riforma, ma non riconosco potere di veto”. Alfano, a sua volta, è convinto che la sentenza della Consulta ha cambiato verso alla sfida depotenziando l’arma del rivale-alleato e rendendo “meno forti i ricatti politici”. In particolare, rispondendo alla “preventiva” avversità di Renzi nei confronti del sistema delle preferenze, Alfano ha replicato: “Noi non accettiamo l’idea di aver di nuovo dei parlamentari nominati o paracadutati”. Il riferimento è rivolto al modello spagnolo delle liste bloccate (oggetto di discussione con il Cavaliere) e al Mattarellum dei collegi scelti per i candidati dalle segreterie dei partiti. Il doppio turno “con circoscrizioni enormi e preferenze” è secondo Renzi ciò che vorrebbe il leader del Nuovo centrodestra, in pratica “un ritorno alla Prima Repubblica che non permetterò mai”, ammonisce il segretario dem.

Il professor Roberto D’Alimonte, il nuovo “ambasciatore di Renzi per la legge elettorale” e fra i massimi esperti di sistemi elettorali, ribadisce che “il proporzionale con una piccola soglia di sbarramento sarebbe un disastro per l’Italia” e sottolinea la necessità di “elementi maggioritari”. Per il professore il sistema migliore sarebbe “quello francese con collegi a doppio turno ma se non fosse praticabile bisogna assolutamente raggiungere un accordo per consentire a chi ha il maggior consenso di governare il Paese”.

Il nocciolo della questione che assilla l’Italia di oggi è proprio questo: la necessità di governare il Paese. Il nodo politico, però, è che “Alfano vuole il doppio turno mentre Forza Italia non ne vuole sentir parlare”. È questa l’analisi di D’Alimonte, e definendo Renzi “un pragmatico” ribadisce che il leader dei democratici “sta cercando un accordo con Berlusconi”.

Di fatto, però, “il modello spagnolo made in Italy”  – 114 circoscrizioni elettorali con liste bloccate ( 6 o 4 candidati ciascuna) – messo a punto dagli ambasciatori di Renzi e di Berlusconi non può di certo essere gradito ad Alfano, dato che con pochi seggi da assegnare in ogni circoscrizione passerebbero solo i leader dei grandi partiti o comunque di quelli fortemente radicati sul territorio. Non a caso Renzi cita “liste brevi bloccate” alle quali “Berlusconi non potrebbe dire di no” anche se, in questo contesto, “si ribellerebbero i partiti piccoli”, e quindi anche Ncd. Forte del mandato della “Grande Riforma”, che in qualche modo gli ha conferito il Capo dello Stato, il leader dei democratici sembra non temere nemmeno gli eventuali franchi tiratori sulla legge elettorale dato che “non avrebbe senso perché significherebbe decretare la morte del governo”.

©Futuro Europa®

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