Camera di Consiglio

Con la mancata indicazione nel menù della qualità di cibo congelato il ristoratore commette il reato di tentata frode in commercio, anche se in effetti non vi è stato un inizio di contrattazione con il cliente? Del problema se ne è occupata, in una recente sentenza, la Corte di Cassazione.

Il caso: a due ristoratori veniva contestata, a locale chiuso, la presenza nei propri frigoriferi di cibi congelati mentre nel menù del ristorante non veniva indicata la natura di prodotto congelato dei piatti preparati con gli stessi, per cui veniva ipotizzato il reato di frode in commercio. La soluzione data dalla Suprema Corte è stata quella della sussistenza del reato, anche se non vi era prova dell’avvenuta contrattazione con i clienti di detti cibi e della vendita degli stessi.

La norma penale, costituita dall’art.515 c.p., così dispone: ”Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino ad Euro 2.065”. E’ evidente che un ristoratore il quale venda per freschi alimenti congelati, non indicati nel menù come tali, commetta il reato suddetto.

Il problema affrontato dalla Corte è lo stabilire se sussista il reato tentato semplicemente a seguito della detenzione di tali alimenti e la mancata indicazione della qualità sul menù, ciò indipendentemente dalla prova che un cliente li abbia ordinati o che vi sia stata una contrattazione.

La difesa degli imputati aveva sostenuto che la insussistenza quanto meno di un inizio di contrattazione, il fatto che l’accertamento era avvenuto a locale chiuso, per cui non era stato verificato se le pietanze al momento della reale offerta sarebbero state effettivamente proposte, nonché il fatto che il menù, pur costituendo un’offerta al pubblico, peraltro revocabile con le forme di cui all’art. 1336 c.c., non forniva la certezza che alcuni piatti venissero, poi, venduti, dato che ciò sarebbe dipeso dalla disponibilità o meno degli stessi al momento dell’ordine, erano tutti elementi idonei ad escludere la configurabilità del reato tentato.

La Corte ha disatteso tutti i rilievi della difesa ed ha concluso per la condanna, motivando puntualmente che nessun rilievo poteva avere la effettiva contrattazione, né tanto meno la possibilità della revoca dell’offerta al pubblico ( che avrebbe potuto incidere solo sull’aspetto civilistico), dato che la semplice presenza nelle cucine di alimenti surgelati e la mancata indicazione della qualità degli stessi nel menù da soli erano elementi assolutamente sufficienti per la configurabilità del reato, in quanto dimostrano indubitabilmente la condotta del ristoratore finalizzata a porre in commercio un prodotto non avente la qualità richiesta.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo, avvocato, è membro del “Progetto Mediazione” del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma]

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