Dalai Lama: la Cina si ammorbidisce, forse

Il Dalai Lama ha appena festeggiato il suo settantottesimo compleanno, come da ormai molti anni accade, al confino. Le autorità cinesi però sembrano rimettere in questione la loro politica nei confronti della personalità più venerata dai Tibetani, in Tibet come in esilio. Il Dalai Lama chiede da tempo alla Cina di aprirsi al dialogo e far si che il Tibet conquisti una reale autonomia, ma il Governo cinese l’accusa ancora di mire indipendentiste. Se le foto del Dalai Lama sono ancora vietate in Tibet e in Cina, si percepiscono timide autorizzazioni. La Cina saprà cogliere l’attimo per dialogare finalmente con il Dalai Lama prima che scompaia?

L’Associazione Free Tibet Campaign ha recentemente fatto notare che il Governo cinese aveva tolto il divieto, in vigore dal 1996, per i monaci del Monastero di Ganden a Lhassa di affiggere foto del Dalai Lama. La stampa locale ha azzardato l’ipotesi che questa decisione significava il preludio di un ammorbidimento della politica di Pechino in Tibet, tre mesi dopo la conquista di Xi Jinping della Presidenza della Cina. La Cina ha però rapidamente smentito la notizia, dichiarando che la sua posizione nei confronti del Dalai Lama, il cui culto e le cui foto sono proibiti, e rimangono proibiti. Per 20 anni, in seguito alla nomina di Hu Jintao a capo del Partito Comunista in Tibet, nel 1989, la politica della Cina in Tibet è praticamente rimasta immobile sulle sue posizioni. Se è prematuro speculare sulla portata di questo minuscolo passo avanti, possiamo notare che questo coincide con la critica della politica portata avanti in Tibet durante l’era Hu Jintao espressa da alcuni ricercatori di Pechino. Possiamo anche notare che Pechino ha autorizzato, a fine Giugno, la visita in Tibet dell’Ambasciatore  americano in Cina. Dettaglio non irrilevante. Questi timidi passi avvenuti in un momento di grande tensione in Tibet, dove 120 tibetani si sono immolati dal 2011 ad oggi, sono forse il segno che la politica di repressione della Cina può scemare.

Durante le manifestazioni del 2008 in Tibet vennero uccisi, per mano della polizia e dei militari cinesi, almeno 200 monaci, mentre  5000 di loro furono arrestati. Alcuni vennero condannati a morte, mentre altri furono sottoposti ai lavori forzati. Da allora, i Tibetani vivono in un clima di terrore e inquisizione. Diverse manifestazioni sono state violentemente represse dalla polizia e dall’esercito cinesi, causando la morte e il ferimento di diversi partecipanti, com’era accaduto nel Gennaio del 2012. E’ in questo contesto che alcuni Tibetani hanno scelto di immolarsi con il fuoco, in nome del ritorno del Dalai Lama in Tibet, e la fine della repressione cinese. E’ possibile che le autorità cinesi sperino, autorizzando a loro discrezione e piacere la pubblica affissione delle foto del Dalai Lama, di mettere fine a questo lunga scia di immolazioni. La Cina si preoccupa forse anche di ciò che potrebbe accadere alla morte del Dalai Lama, che ha raggiunto un età che nessun’altro dei suoi predecessori aveva mai raggiunto. Finora è stato molto ascoltato dai Tibetani, e la sua influenza si nota nella non-violenza che contraddistingue la lotta dei Tibetani, ma anche nella volontà di ricerca di dialogo con la Cina per arrivare ad un accordo di interesse comune alle due parti, e non solo. Questa volontà politica di conciliazione è portata avanti dal Governo tibetano in esilio, anche se il Dalai Lama ha lasciato la sua carica politica nel 2011, lasciando il suo posto ad un Primo Ministro laico, Lobsang Sangay, eletto democraticamente dai Tibetani in esilio. Ma se il Dalai Lama scomparisse senza che la Cina abbia risposto a questa apertura, si dovrà parlare di vero e proprio fallimento. Con la frustrazione del fallimento e la perdita di una personalità così forte, la Cina potrebbe dover affrontare  un movimento alternativo indipendentista molto meno accomodante.

Per il momento, si è ancora festeggiato il compleanno del Dalai Lama in tutto il Mondo, tranne che in Tibet.

© Futuro Europa

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