Kosovo, il dopo elezioni

Il 10 maggio di quest’anno una mozione di sfiducia votata da 78 membri contro 34 fece innescare l’elezione anticipata, che secondo la Costituzione del Kosovo doveva tenersi prima del 18 giugno 2017. Questo ha portato alla tornata elettorale del 11 giugno dove il popolo kosovaro si è recato alle urne per decidere la formazione dell’Assemblea Nazionale (Kuvendi i Kosovës in albanese, Skupština Kosova in serbo), l’organismo monocamerale detentore del potere legislativo.

Un paese che è un crocevia di minoranze e conflittualità, con una forte minoranza serba che ha votato anche un referendum volto a staccarsi dalla repubblica kosovara, latenti conflitti con i vicini, fresche ferite date dai crimini di guerra perpetrati dall’UCK durante la guerra con la Serbia, e per finire una forte incidenza di foreigh fighters arruolati nelle file del Isis, in quota di 500 su una popolazione di 1,8 milioni di abitanti.

I risultati delle urne paiono avere consegnato il successo alla coalizione capeggiata da Ramush Haradinaj, ex leader dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck), cui il Presidente del Kosovo Hashim Thaçi dovrebbe conferire l’incarico di premier. Il Partito democratico del Kosovo (Pdk), l’Alleanza per il futuro del Kosovo (Aak) e Nisma (Iniziativa), insieme hanno infatti preso il 33,74% dei voti e 39 seggi (sul totale di 120 del parlamento nazionale). Il dubitativo è d’obbligo in quanto il numero dei seggi non consente alla compagine di governare in autonomia. Non bisogna poi sottovalutare l’ingombrante passato del premier in pectore, ‘Rambo’ Haradinaj che è stato da poco rilasciato da una Corte francese ed in passato inquisito due volte per crimini di guerra, la sua nomina non potrà che acuire i rapporti con la Serbia che lo accusa di avere torturato e ucciso molti civili serbi mentre era comandante dell’Esercito di liberazione del Kosovo, tra il 1998 e il 1999. La nascita del Kosovo, l’intervento militare della Nato, il fatto che il paese non sia ancora riconosciuto da molti stati, anche del calibro di Russia, Spagna ed Israele, rende la situazione in perenne fibrillazione, inserendosi nel dramma di essere anche lo stato con il più alto numero di disoccupati di tutta l’Europa, oltre il 30%.

Restando in tema elettorale, secondo è risultato il movimento nazionalista e radicale Vetevendosje (Autodeterminazione) con il 27,49% e 32 seggi, seguito dall’altra coalizione composta da Lega democratica del Kosovo (Ldk), Alleanza per il nuovo Kosovo (Akr) e Alternativa che ha ottenuto il 25,53% dei consensi e 29 seggi. Alla Lista Srpska è andato il 6,12% e nove dei dieci seggi riservati alla minoranza serba. Albin Kurti, alla guida di Vetevendosje (VV), esulta e si dichiara il ‘vero’ vincitore della kermesse elettorale avendo, da solo e non in coalizione, raddoppiato i propri voti. Notevole anche il successo della lista guidata dalla Serbia che ha raccolto praticamente tutti i voti della forte minoranza. I 10 parlamentari che il movimento creato dal presidente serbo Aleksandar Vucic potranno essere determinanti nei giochi per la formazione del governo.

Le ultime notizie in merito la formazione del nuovo governo , stando a quanto riferito dal rappresentante del PDK Bekim Haxhiu, sembrano confermare il raggiungimento della quota necessaria accreditando già 63 voti su 120, quindi oltrepassando la quota minima dei 61 seggi necessari per avere la maggioranza. Secondo Haxhiu la cifra dovrebbe aumentare ancora ed ha dichiarato “La cifra include 20 voti delle comunità non albanesi, 39 conquistati da Pan e il resto da altre parti. Ci sono deputati che hanno messo l’interesse statale al di sopra dei gruppi”. Resta tutta da vedere la solidità che potrà avere una coalizione così variegata nell’affrontare gli enormi problemi che affliggono il paese.

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