OCSE, Taxing Wages 2017

Taxing Wages è lo studio annuale dell’OCSE che va a misurare il peso delle tasse rispetto i salari nei 35 stati membri dell’organizzazione.  Nelle varie classifiche europee e mondiali l’Italia appare spesso nei primi posti, ma quasi sempre si tratta di posizioni in cui preferiremmo non essere. Malgrado i tanti annunci e promesse l’annoso discorso sul cosiddetto cuneo fiscale, la differenza tra il percepito lordo del lavoratore dipendente ed il netto in busta paga, continua ad aumentare. Secondo i dati dell’OCSE l’Italia è passata dal 6° al 5° posto per il peso delle tasse sui salari nella categoria lavoratori single. In questo caso il cuneo si attesta al 47,8% contro una media europea del 36%. In questa speciale graduatoria, a far peggio della Penisola sono il Belgio (in testa con il 54%), la Germania (49,4%), l’Ungheria (48,2%) e la Francia (48,1%). La Spagna è invece quindicesima (con il 39,5%) e gli Usa 25esimi (31,7%), davanti a Canada e Gran Bretagna (30,8%).

Nella classifica delle famiglie monoreddito con due figli il nostro paese è passato dal 5° al 3°, vantando un’incidenza del 38,6%. In questa speciale graduatoria siamo dietro solo la Francia al 40% e la Finlandia al 39,2%, il tutto contrasta con la media OCSE del 26,6%. Per finire di parlare di numeri aggiungiamo che se la media di tassazione degli stipendi è per l’Italia del 31,1%, quella OCSE segna un ben più roseo 25,5%; aggiungendo che la media degli stipendi italiani è sotto i 40.000 euro, mentre quella OCSE supera questo tetto.

Per le coppie sposate con due figli il costo del lavoro medio in Italia è di 73.960 dollari, superiore a quella Ocse di oltre 7.000 dollari. Se si guarda però al reddito netto l’Italia scende in media a 45.592 dollari, scivolando sotto la media Ocse (47.486 dollari). I paperoni, nonostante una forte pressione fiscale, sono gli svizzeri con oltre 58.000 dollari, seguiti da quelli del Lussemburgo che dopo le tasse intascano in media oltre 45.000 dollari e dagli olandesi con 44.200 dollari.

Prospettive di miglioramento? Nessuna, anzi, la Renzinomics messa in atto dall’ex-premier Matteo Renzi, tuttora comunque ispiratore del governo, e dal ministro Padoan, non fa che confermare quanto disse Paul Krugman, Nobel per l’economia, riguardo il nostro ministro delle Finanze quando ancora sedeva nei posti di comando UE durante la crisi, Krugman lo definì “l’uomo delle scelte sbagliate”. Da quando Padoan siede al dicastero delle Finanze il debito pubblico italiano aumenta di 10 miliardi al mese, da addebitare quasi totalmente alle spese delle amministrazioni centrali.

Il pensiero non può non andare alla prima mossa di Renzi dopo l’insediamento a Palazzo Chigi, gli 80 euro di bonus, come ebbe a dichiarare la Chief economist di Prometeia, Stefania Tomasini nella mia intervista di allora, se gli stessi soldi fossero stati usati per ridurre il costo del lavoro avrebbero avuto un impatto triplo rispetto l’erogazione come regalìa. Motivi elettorali, la diminuzione del costo del lavoro esplicita i suoi effetti nel breve-medio periodo, fu prevalente rispetto una sana e lungimirante politica economica.

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