Cronache dai Palazzi

La strada è difficile ma l’Italia ha bisogno di questo governo. È questa l’estrema sintesi del premier Letta che conferma la sua determinazione ‘d’acciaio’, e va avanti senza farsi intimorire dalle tendenze separatiste che condizionano l’hinterland dei due maggiori partiti di maggioranza. Sia in casa Pdl-Fi sia in casa ‘dem’ sono infatti in corso dei processi di scissione che molto presto potrebbero mettere a dura prova il governo di larghe intese. “Un governo di emergenza”, come sottolinea Fabrizio Cicchitto nella sua lettera aperta al Cavaliere (pubblicata sul Corriere della Sera di giovedì 7 novembre), “che deve misurarsi con due nodi: la crisi economica e l’esigenza delle riforme istituzionali”.

In un contesto così burrascoso, inoltre, nel quale ogni giorno viene messa in discussione la stabilità dell’esecutivo, minando la credibilità del Paese, “dare ad un governo Pdl-Pd il compito di battersi frontalmente contro l’uso politico della giustizia – puntualizza Cicchitto – sarebbe una missione impossibile che ne avrebbe impedito a suo tempo la nascita e che adesso ne provocherebbe la sicura crisi”. Le colombe azzurre, piuttosto agguerrite, allontanano quindi il fantasma della decadenza (che si dovrebbe decidere il prossimo 27 novembre) che molto probabilmente rappresenta la principale preoccupazione del Cavaliere, al di là delle ripetute perplessità sulla Legge di Stabilità, Imu compresa. A ridosso dell’ultimo Consiglio dei ministri di venerdì 8 novembre il premier Letta ha comunque messo a tacere le voci affermando: “La decisione dell’Imu è ormai assunta, e sulla quale non si torna”, nonostante il governo debba ancora recuperare le coperture necessarie per colmare l’abolizione della seconda rata.

Gli acuti “rapporti di forza” impedirebbero “uno sbocco a livello di governo” della suddetta “battaglia” contro l’uso politico della giustizia e le elezioni anticipate sono da scongiurare, sia perché il Pdl è chiaramente “azzoppato” è offrirebbe all’avversario Pd “la vittoria su un piatto d’argento”, sia perché “il presidente della Repubblica – ricorda Cicchitto – ha già detto [più volte – NdR] che non farà mai votare con questa legge elettorale”. Nelle vesti di Fabrizio Cicchitto i governativi azzurri difendono inoltre la figura del vicepremier “per le sue doti e la lealtà” verso il Cavaliere, “per le sue potenzialità politiche”; una figura che “se già non ci fosse dovresti inventarla”, ammonisce Cicchitto rivolgendosi all’ex premier. Sulla scia del presidente Letta, che da Dublino guarda con fiducia al semestre europeo di presidenza italiana – 235 i giorni mancanti al primo luglio quando la presidenza Ue toccherà all’Italia, un semestre orientato alla crescita, rassicura il premier italiano – le colombe pidielline auspicano “un governo solido fino al 2015” e, pur non disconoscendo la leadership berlusconiana – che avrebbe in questa fase una funzione, più che operativa, “carismatica e di elaborazione politica” – rimarcano la necessità di “far crescere anche un leader nuovo nel centrodestra che, a quella scadenza (2015), possa confrontarsi in condizioni di parità con il leader del centrosinistra”.

Sia il centrodestra sia il centrosinistra sono comunque attraversati da divisioni politiche e personali profonde e i rispettivi Consigli nazionali rischiano di trasformarsi in pericolosi ring. Le conseguenze dei rispettivi scontri potrebbero ripercuotersi duramente sull’esecutivo di larghe intese penalizzando sia le riforme che devono essere ancora attuate sia quelle che sono già partite, come il decreto “L’istruzione riparte” che dal 7 novembre è legge: “borse per il trasporto studentesco; fondi per il wireless in aula e il comodato d’uso di libri e strumenti digitali per la didattica; finanziamenti per potenziare l’orientamento in uscita dalla scuola secondaria e per la lotta alla dispersione; innovazioni nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro. Ma anche un piano triennale di assunzioni dei docenti e degli Ata, la stabilizzazione di oltre 26mila insegnanti di sostegno”.

Intervistato dall’Irish Times Letta dichiara: “Sapevo sin dall’inizio che le larghe intese sarebbero state difficili, ma penso che l’Italia abbia bisogno di continuare il lavoro che sta facendo in questo momento. Siamo in novembre, siamo ancora qui e io penso che abbiamo la possibilità di fare un buon lavoro nei prossimi mesi, mesi molto importanti, nei quali l’intera struttura della politica europea avrà bisogno di essere riformata”.

Sul fronte nazionale continuano però gli scontri muscolari tra Pd e Pdl. I due maggiori partiti, inoltre, soffrono entrambi di un difetto di leadership ed entrambi non riescono a trovare una sintesi efficace che sia la radiografia del loro pensiero da tradurre in azione concreta: una difficoltà politica evidente che rappresenta un salto nel vuoto per la nostra democrazia, un gap che non favorisce il dispiegarsi di una dialettica aperta tra posizioni diverse.

Gli scontri muscolari non favoriscono di certo la tenuta del governo, la cui condizione naturale sembra essere la continua fibrillazione bilanciata però da uno scudo istituzionale e internazionale a prova di crisi. Anche a Dublino il presidente del Consiglio italiano ha premuto il piede sull’acceleratore assicurandosi la maglia rosa; il premier ha affermato che il taglio del costo del denaro messo in campo dalla Bce – taglio dei tassi d’interesse allo 0,25%, minimo storico – è “una grande notizia che consentirà un riequilibrio fra euro e dollaro”. D’accordo con il primo ministro irlandese Kenny, Letta ha inoltre sottolineato la necessità di ridurre l’austerity e investire di più nella crescita. “Sono molto fiducioso – ha dichiarato Letta a proposito del nuovo governo di Berlino – che alla fine del negoziato sulla grande coalizione in Germania la Cancelleria sarà consapevole che l’Unione deve essere cambiata, nemmeno alla Germania conviene stare in una Ue che non cresce e in cui lei stessa cresce poco”.

In definitiva la nuova galassia del Pdl teme lo scisma – tra lealisti, mediatori, falchi e innovatori – e il Pd non si dimostra in grado di approfittare della situazione di secessione sofferta dall’avversario che si arrovella sul dilemma scissione o separazione consensuale. Entrambi i partiti implodono nelle mani di oligarchie affamate di potere e interessate a creare esclusivamente dei leader possibili, saltando o addirittura falsificando il rapporto con la base che come nel caso del Pd ha condotto alla scelta di bloccare il tesseramento, anche se molto probabilmente la manovra non sarà sufficiente a evitare che si discuta di primarie truccate e di leader delegittimati.

©Futuro Europa®

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