Una Costituente per la Cultura, anche a favore dello sviluppo

Ogni regione del “Bel Paese”  potrebbe stilare una nutritissima lista di siti di interesse turistico-culturale che giacciono dimenticati, o meglio non manutenuti o non adeguatamente conservati.   Una miriade di beni culturali di ogni genere, archeologico, museale,  archivistico, librario, sino al modernariato: i Bronzi di Riace in Calabria, sottratti da tempo al pubblico, lo scandaloso stato manutentivo di Pompei, secondo sito archeologico mondiale per visite turistiche dopo le Piramidi egizie, sono gli esempi recenti più eclatanti.

Avviare in ogni comune ed ai vari livelli  regionali e centrali  una nuova  “Costituente per la cultura” immediatamente operativa. – Come proponeva nel marzo del 2012 il Manifesto a favore di una nuova “Costituente per la Cultura” promosso dal giornale economico IlSole24Ore: “Niente cultura, niente sviluppo. Dove per “cultura” deve intendersi educazione, istruzione, ricerca scientifica, conoscenza.”  Occorre operare una vera rivoluzione copernicana nel rapporto tra sviluppo e cultura. Da “giacimenti di un passato glorioso”, ora considerati ingombranti beni improduttivi da mantenere,” i beni culturali e l’intera sfera della conoscenza devono tornare a essere determinanti per il consolidamento di una sfera pubblica democratica, per la crescita reale e per la rinascita dell’occupazione.”

Una costituente per la cultura; azioni diffuse e capillari dal governo e dai territori. – E’ da condividere totalmente quanto sostenuto dl Manifesto del Sole24Ore sull’affermazione che  Cultura e Ricerca sono due capisaldi della nostra Costituzione repubblicana. Le riflessioni programmatiche che propone il Manifesto del Sole 24Ore cercano di mettere a punto alcuni elementi «Per una costituente della cultura». L’articolo 9 della Costituzione «promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Sono temi saldamente intrecciati tra loro. “Niente cultura, niente sviluppo”. Dove per “cultura” deve intendersi una concezione allargata che implichi educazione, istruzione, ricerca scientifica, conoscenza. E per “sviluppo” non una nozione meramente economica, incentrata sull’aumento del Pil, che si è rivelato un indicatore alquanto imperfetto del benessere collettivo e ha indotto, per fare solo un esempio, la commissione mista Cnel-Istat a includere cultura e tutela del paesaggio e dell’ambiente – e noi aggiungiamo il requisito correlato della qualità e sostenibilità della vita urbana specie per ragazzi,  anziani e disabili  – tra i parametri da considerare.

La cultura e la ricerca innescano l’innovazione, e dunque creano occupazione, producono progresso e sviluppo. La cultura, deve tornare al centro dell’azione di governo, centrale e locale.  – La cultura, deve tornare al centro dell’azione di governo ad ogni livello, centrale, regionale, provinciale e comunale.     È una condizione per il futuro dei giovani. Chi pensa alla crescita senza ricerca, senza cultura, senza innovazione, ipotizza per loro un futuro da consumatori disoccupati, e inasprisce uno scontro generazionale senza vie d’uscita. Anche la crisi del nostro dopoguerra, a ben vedere, fu affrontata investendo in cultura. Ora le sfide paiono meno tangibili rispetto alle macerie del dopoguerra, ma le necessità e la capacità di immaginare e creare il futuro sono ancor più necessarie e non rinviabili. Se oggi quelle stesse città che sono state laboratori viventi sembrano traumatizzate da un senso di inadeguatezza nell’interpretare le nuove sfide, ciò va ascritto a precise responsabilità di governo e a politiche e pratiche decisionali sbagliate. In Italia – con una gravissimo errore in quanto possediamo il 70% del Patrimonio Culturale dell’Umanità” – si è affermata la marginalità della cultura, del suo Ministero, e dei Ministeri che se ne occupano (Beni e Attività Culturali e Istruzione, Università e Ricerca) e anche degli Assessorati regionali, provinciali e comunali,    troppo spesso considerati solo centri di spesa improduttiva, da trattare con tagli trasversali.

Cooperazione tra i ministeri centrali e  regionali per  attribuire  risorse alla cultura. Complementarità pubblico-privato, il ruolo insostituibile del volontariato con gravi fiscali per chi investe nella cultura.  – Oggi si impone un radicale cambiamento di marcia. Porre la reale funzione di sviluppo della cultura al centro delle scelte dell’intero Governo, significa che la strategia e le conseguenti scelte operative, devono essere condivise dal ministro dei Beni Culturali con quello dello Sviluppo, del Welfare, della Istruzione e ricerca, degli Esteri e con il Presidente del Consiglio. Inoltre il ministero dei Beni Culturali e del paesaggio dovrebbe agire in stretta coordinazione con quelli dell’Ambiente e del Turismo.   Non si tratta solo di una razionalizzazione di risorse e competenze, ma dell’assunzione di responsabilità condivise per lo sviluppo. Un nuovo sviluppo delle attività  culturali  deve ripristinare i necessari collegamenti  tra centro e territori regionali e provinciali. Si tratta di promuovere il funzionamento delle istituzioni mediante la loro leale cooperazione, individuando e risolvendo i conflitti a livello normativo (per esempio i conflitti Stato-Regioni per le norme su ambiente e paesaggio,  mentre assistiamo al consumo del territorio e lottizzazioni selvagge con costruzioni spesso inutili sotto il profilo economico, edilizio oltre che della reale qualità della vita delle città .

Sgravi ed equità fiscale per coloro che investono e destinano risorse alla valorizzazione della cultura. – La complementarità tra pubblico e privato,  implica una forte apertura all’intervento dei privati, oltre che dell’intraprendente settore del “volontariato culturale”locale e nazionale, come la rete del Fondo per l’Ambiente Italiano FAI,  nella gestione del patrimonio pubblico, deve divenire cultura diffusa e non presentarsi solo in episodi isolati.     Questa nuova collaborazione pubblico-privato può svilupparsi  solo se non è pensata come sostitutiva dell’intervento pubblico, ma fondata sulla “condivisione operativa” con le imprese e i singoli cittadini del valore pubblico della cultura. Si è osservato in questi anni che laddove il pubblico si ritira anche il privato diminuisce in incisività, mentre politiche pubbliche assennate hanno un forte potere motivazionale e spingono anche i privati a partecipare alla gestione della cosa pubblica.

Ad ogni livello decisionale occorrerà sollecitare  provvedimenti legislativi efficaci a sostegno dell’intervento privato, attraverso un sistema di sgravi fiscali, ricordando che  in molti paesi europei persino il biglietto per un museo o un teatro è detraibile fiscalmente.    Misure di questo genere ben si armonizzano con l’azione di contrasto all’evasione a favore di un’equità fiscale finalizzata a uno scopo comune: il superamento degli ostacoli allo sviluppo del paese.

©Futuro Europa®

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