Roma città aperta

«Il 16 ottobre del 1943, un sabato, una giornata come tante entrò nella storia. Le SS entrarono nel ghetto di Roma e rastrellarono più di mille persone, di ogni età. Dopo sei giorni erano ad Auschwitz, dopo pochi giorni alcuni o tanti giorni altri erano morti. Ne tornarono vivi solo 16.

Ma la vicenda era cominciata già nel 1938 con le leggi razziali; all’improvviso gli ebrei italiani smettevano di esistere: non morivano perché i necrologi erano proibiti, non avevano un’identità , erano invisibili. Ma già inesorabilmente in una lista che avrebbe permesso ai nazisti di trovarli facilmente, quel sabato lì. Gli ebrei di Roma erano romani e italiani. Cittadini a tutti gli effetti. Frequentano le scuole pubbliche insieme ai non ebrei, lavorano insieme.

Non esistevano differenze, né volute, né provocate. Eppure quel sabato lì tutto cambiò. Non furono solo i nazisti a venirli a prendere, ma fu anche lo Stato a venirli a prendere. Sono tanti gli scritti e sono tanti anche i rapporti ufficiali dell’epoca, come questo riportato da Franco Cohen: “Ho indicato in 1022 il numero dei deportati. Non ho incluso la bimba (o il bimbo) che Marcella Perugia Di Veroli ha dato alla luce all’alba del 17 ottobre al Collegio Militare. Ho preferito pensare che questo essere, innocente fra gli innocenti, sia entrato e uscito dalla vita in un soffio, quasi non contaminato dalla ferocia nazista”.

E sono angoscianti i racconti di chi è scappato al fato per una casualità, per seguire un vizio, come un ambulante che uscì all’alba per andare a comprare sigarette e scampò al rastrellamento. Tutte storie di gente come noi, con i loro sogni, i loro dispiaceri, le loro paure. Eppure dopo tutti questi anni, dopo tutto questo dolore siamo costretti a vedere gente con il braccio alzato che difende la bara di un criminale. Come si devono essere sentiti i discendenti di quei morti assassinati? Cosa deve aver provato la pronipote di quella bambina che non è mai vissuta?

Io mi vergogno profondamente e chiedo il giudizio divino. L’ira di Dio. Perché ormai solo questo ci rimane; al di là delle belle parole, della fede, del perdono, ci resta solo sperare che un giorno Dio, o come preferite chiamarlo, si svegli e metta fine a tutta questa malvagità.»

©Futuro Europa®

Print Friendly, PDF & Email
Condividi

1 Commento per "Roma città aperta"

  1. Cara Elvira,
    se “dio” fosse capace di ira non sarebbe dio, né un dio, ma solo una replica di qualche umano messo su nel cielo. Né più né meno.
    E quel “dio” che evochi, certamente in modo scenografico e non sostanziale, è però quello stesso dio di cui molti, troppi hanno un’idea distorta e distorta la loro spiritualità, e in fondo non è neanche colpa loro.
    Le religioni di Jahweh e Allah, nate apposta per ingannare l’umano distraendolo dalla sua eterna origine “divina”, hanno fatto in modo da dipingere quella specie di dio come portatore di sentimenti ed emozioni che un qualsiasi semidio, finanche semiumano, rifiuterebbe. Riesce a me, figuriamoci a un cosiddetto (o autoproclamatosi senza alcuna prova) “dio”.
    E se è successo tutto ciò che è successo, da un lato e dall’altro, nessuno escluso, è proprio grazie a tale concezione religiosa, ma affatto spirituale, della parte incorporea del vivere. L’attuazione del” dualismo” è invece palestra di evoluzione per le anime, ma anche schema della matrice dalla quale dobbiamo prima o poi deciderci a uscire.
    Ognuno ha fatto ciò che “doveva”, perché la natura dell’umano-animale, la release post-Diluvio (o sglaciazione veloce), sia che si voglia credere alla favoletta darwiniana o a più complessi meccanismi genetici, è ora “polare”. Deve per forza e definizione stare tra due poli, opposti, dualismo, per saperne trovare l’equilibrio e distrarsene. Ed entrambi i poli appartengono all’Energia, o Uno, o Dio (questa volta intenzionalmente con la maiuscola). Perché fare i buoni o i cattivi ha poco senso. Non c’è premio, né medaglia e qualcuno ha già detto che chi si ritiene primo o giusto potrebbe anche non esserlo, a conti fatti. 
    Tutti i percorsi sono validi e portano tutti alla medesima stazione finale, salvo arrivarci con diverse “velocità”. Follia? Ma no dai, Il Taijitu è esattamente la metonimia di quanto dico ed è lì da secoli. E, francamente, non dico assolutamente nulla di nuovo. Casomai lo rammento escludendomi da questa folle mentalità occidentale del Bene e del Male e della contrapposizione fondata sull’Ego.
    Finchè si vorrà credere che Dio, Jahweh e Allah sono “dio” e non semplici e poveri (di spirito, di amore, di visione dell’eterno) invasori della divinità dell’Uomo, quella atlantidea e lemuriana ad esempio, si continuerà a cadere nell’inganno di un dio umano e perfino fetidamente misero, squallido, men che molti umani, men del mio vicino di casa che è migliore di “quel” dio.

    Ma capisco, l’ignorare di ciò che è realmente stato è profondo (grazie a queste “religioni” che hanno falsificato testi e scritture poi considerati sacri e occultato prove, reperti, frammenti) e l’incapacità di capire altrettanta, e viene di conseguenza.
    Si fa fatica a ripensarsi diversi e su paradigmi diversi. Si preferisce cullarsi nella favola raccontata piuttosto che rapportarsi a tracce e sedimenti ben più presenti e in qualche modo ormai diffusamente ricostruiti con logica e nozione da molti, molti studiosi nel mondo. E non ci si domanda magari mai perché alla Mecca si gira inconsciamente in tondo (dinamismo, spirale, movimento, energia) e non si sta fermi, come invece nelle altre religioni tranne quella Ebraica dove il movimento ha la sua bella componente essenziale, intorno a un “meteorite nero” o perché nei Musei Vaticani c’è una grossa pigna, pinea, pineale, che ritroviamo sia nei bassorilievi sumeri del British Museum, consegnata da esseri alati al re di turno sia nella capigliatura di qualsiasi Buddha. Cosa c’è dietro le religioni allora che non vi/ci è stato detto? Ma ci fa comodo sperare in un aldilà che ci restituisca il maltolto di questa (presunta unica) vita o sperare in un qualcuno esterno a noi che faccia quella giustizia che l’umanità sembra non contemplare. E non può contemplarla, per definizione, per costruzione. Il sistema è duale. Qualcuno deve pur vestire la maglia nera affinchè la bianca illumini.
    Si preferisce allora accettare un modello divino grottesco e anche abbastanza ridicolo, chiudendo gli occhi di fronte a evidenze, racconti, documenti, testimonianze che dicono ben altro. E in base a questa cieca “fede” poi si pretende di agire in modo “umano” o non umano. Sorprendersi che l’Uomo sia Lupo? Sorprendersi che il Lupo possa tornare ad essere Agnello? Quella specie di dio che evochi metaforicamente, Elvira, è colui che ha gestito managerialmente le sorti dell’Umano, creandolo Lupo da Agnello quale era e convincendolo che la vita sia unica e in questa vita dobbiamo giocarci tutte le nostre carte secondo le “sue” regole. Suvvia. E, paradossalmente, lo dobbiamo anche ringraziare, perché ha eseguito perfettamente gli ordini del vero Dio/Uno/Energia Cosciente che ha creato la Dualità per farla funzionare. Grazie “dio”. Ma ora basta. Tornatene a casa.
    E in tal caso, accettando questa matrice collosa chiamata religione, siamo noi a creare il mondo in questo modo. Siamo noi a reiterare il paradigma dualista.
    Bereshit Barà Elohim.

    Io ho fiducia negli Elohim. Non certo in Enlil/Jahweh.

    L’alternativa alle religioni non è l’ateismo, ma la spiritualità

    p.s.: il problema “razziale” inizia prima delle Leggi Razziali che sono del novembre 1938. Inizia e finisce esattamente con la conferenza di Evian, dove il destino degli ebrei viene tristemente e definitivamente deciso. Il resto è solo conseguenza meccanica della Dualità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato


*