Quantitative Easing, il bazooka di Draghi

Il Presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem ha recentemente dichiarato, e non è il primo, che la ripresa economica è in atto. Purtroppo in molti paesi, ad esempio proprio l’Italia ove pare che l’unico ad essersene accorto sia il premier Renzi, nessuno se ne è accorto. Incauto ottimismo? Non proprio, come già esposto in un precedente articolo sul riequilibrio dell’Eurozona, l’Europa vanta un avanzo commerciale di 200 miliardi di euro, superiore a quello cinese. Il problema nasce dall’effetto di una ripresa a macchia di leopardo che si è concentrata principalmente nel nord-europa continuando a mordere, se pur in maniera differente, nell’area meridionale.

Per aiutare la ripresa tramite la leva finanziaria la BCE aveva già messo in campo una serie di misure di politica monetaria che lo stesso Presidente Mario Draghi aveva definito operazioni non convenzionali. Queste misure erano consistite in una serie di finanziamenti alle banche, ben mille miliardi nel biennio 2012-2013, portando i tassi sui depositi presso la stessa Banca Centrale quasi a zero ed addirittura in zona negativa per quelli da parte delle banche. Inoltre in piena crisi dello spread la BCE, tramite il suo Presidente, annunciò acquisti illimitati di titoli sul mercato, questo venne soprannominato subito come bazooka di Draghi. Questa politica, definita Outright Monetary Transactions, aveva lo scopo di spezzare la speculazione ed abbattere le tensioni sui titoli dei paesi a più alto debito  pubblico, come il nostro, colpendo quindi lo spread e restituendo fiducia nella solidità della moneta unica, incidentalmente il messaggio politico era che si era disposti a tutto pur di salvaguardare l’euro. L’altro obiettivo che ci si era prefissi era di immettere liquidità nel sistema in modo che questa arrivasse alle aziende e che si arrivasse ad un target del 2% come livello di inflazione, parametro considerato di equilibrio sistemico. Il termine Quantitative Easing in questo caso assegnato a questa operazione era in realtà errato, l’ex presidente Jean-Claude Trichet intervenne personalmente per puntualizzare che non si trattava di un QE,  “Il Securities Market Program non deve essere confuso con il Quantitative Easing. In parole semplici: non stiamo stampando moneta. Ciò conferma e rafforza il nostro impegno alla stabilità dei prezzi”.

Balza subito all’occhio la principale differenza tra il programma della BCE e quello attuato negli Stati Uniti da Obama e dalla Bank of Japan per realizzare la cosiddetta Abenomics. Mentre nei due sunnominati paesi si stampava moneta e la si immetteva nel mercato, in Europa, dovendo fare i conti con una Germania terrorizzata da una possibile inflazione senza controllo, lo stesso Trichet ideò un programma di “sterilizzazione” per cui ogni acquisto di titoli da parte della BCE veniva compensato dal pari ritiro di liquidità dal mercato, sotto varie forme, garantendo comunque l’invarianza del flottante monetario.

I risultati sono stati variegati, negli Stati Uniti la ripresa è oramai lanciata, così anche nel Regno Unito, in Giappone in realtà la realizzazione dell’Abenomics non ha portato i risultati attesi, e recentemente la BoJ ha annunciato un ulteriore QE da 583 miliardi. In Europa sia la ripresa che la disoccupazione continuano ad essere a macchia di leopardo, i mille miliardi distribuiti dalla BCE alle Banche sono serviti più a ricapitalizzare le banche per permettergli di superare gli stress test e l’asset quality review che a rilanciare l’economia. A lato si notò anche che le banche non ricevevano neppure abbastanza richieste di prestiti per quanto era la loro disponibilità a ritirare fondi dalla BCE, per capirci le aziende non chiedevano alle banche tutti i soldi che le banche avrebbero potuto prestare, questo deriva dal fatto che senza una “solida” ripresa le stesse imprese non hanno necessità di finanziamenti per procedere ad investimenti ed assunzioni.

In cosa consiste la novità in questo, nuovo, “bazooka di Draghi”? Proprio nel fatto che non sarà più rispettata la sterilizzazione della massa monetaria finora seguita, verranno immessi sul mercato 1.200 miliardi di euro al ritmo di 60-80 al mese e forse alla fine potrebbero essere di più. Gli effetti su cui si punta sono ad una svalutazione dell’euro rispetto al dollaro, la BCE pone un livello desiderato di almeno 1,17 se non ancora più in basso, ricordiamo che alla nascita della moneta unica il cambio era di 1 a 1. Il risultato sarà che occorreranno meno dollari per comprare un euro rendendo le merci europee più competitive nelle esportazioni, d’altronde poiché il petrolio si paga in dollari, l’Eurozona sarà meno avvantaggiata del calo del petrolio rispetto agli stessi Stati Uniti. Tutto rose e fiori dunque? Assolutamente no, innanzitutto la UE non è considerata un’area di valutazione economica ottimale, troppe asimmetrie tra le diverse economie e politiche dei 19 stati membri, dal QE annunciato, l’Italia, egoisticamente, dovrebbe esserne più avvantaggiata proprio perché ha un alto debito pubblico, quindi l’acquisto dei titoli sovrani da parte della BCE sarà presumibilmente maggiore nei nostri confronti.

Ci sono alcune considerazioni che è doveroso fare. Se il QE ha funzionato in USA e Regno Unito è dato da una serie di politiche di spesa e da un mercato del lavoro estremamente libero e flessibile e di economie e società moderne, cosa che non si può dire di molti paesi della UE, in particolare proprio dell’Italia dove politiche dissennate e polemiche che fanno perdere tempo attorno ad un art. 18 che è più un simbolo che un effettivo problema, hanno creato solo precariato ed immobilismo. Il tanto acclamato Jobs Act in realtà potrà spostare forza lavoro dal precariato al tempo indeterminato, ma non crearne di nuovo. Non si è intervenuti sulle fossilizzazioni di albi e corporazioni, sulle società inutili da cancellare, sul versante della corruzione, sui costi della politica. Invece di incidere “veramente” sul costo del lavoro si è preferito distribuire un premio pro-voto con gli 80 euro, gli uffici del lavoro sono enti pressoché inutili. Un QE non potrà aiutare la ripresa se verrà impiegato per pagare spese inutili e coprire le efficienze sistemiche, si dovrebbe lavorare sul sistema paese, strutture inadeguate, reti informatiche, trasporti, costi dei servizi che sono i più alti d’Europa a partire da quelli energetici gravati da ogni tipo di oneri impropri. Purtroppo sembra che l’attuale governo sia più bravo ad inviare tweet che ad implementare politiche efficienti in campo macro-economico e strutturale.

Una postilla al “bazooka” imposta dalla Germania ha fatto sì che si normasse che il rischio viene ripartito al 20% sulla BCE (quindi su tutti) e ben l’80% sulla BCN del paese oggetto del QE. Trattasi più di un contentino alla Bundesbank che di un rischio effettivo, questo si concretizzerebbe solo in caso di default del paese in questione, ora se si arrivasse al fallimento di uno stato come Italia o addirittura Francia, è chiaro che non esisterebbe neanche più l’Euro.

©Futuro Europa®

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