Lavoro: cambio di passo, forse

Il Jobs act renziano inizia a prendere forma, e ottiene i primi commenti positivi come anche severe critiche. È ancora in forma embrionale e potrà essere emendato dai contribuiti di addetti ai lavori e cittadini, come esplicitamente richiesto.

Nelle intenzioni del segretario Pd il rilancio del sistema occupazionale passerebbe attraverso la semplificazione burocratica e l’attrazione di capitali stranieri: nella premessa della bozza del documento, rilanciata via mail, viene ricordato il pessimo posizionamento del nostro Paese quanto alla facilità del modo di fare impresa e al livello complessivo di competitività. Il documento è sintetico e suddiviso in tre parti.

La prima riguarda le considerazioni sul sistema. Il dislivello del costo dell’energia fra le aziende italiane e quelle europee è troppo elevato e va quindi ridotto di almeno il 10 per cento, soprattutto per le piccole e medie aziende. La tassazione sul lavoro deve diminuire: la proposta è di ridurre del 10 per cento l’Irap pagata dalle aziende sostituendola con un aumento della tassazione sulle rendite finanziarie. Il vincolo del risparmio di spesa corrente a favore della riduzione fiscale sul reddito è uno dei punti controversi. Non ci sono per il momento meccanismi automatici e non c’è ancora una precisa classificazione delle spese, che una volta ridotte, potranno contribuire a ridurre la pressione fiscale. Il documento continua con riferimenti alle azioni legate all’agenda digitale; alla eliminazione dell’obbligo di iscrizione alle Camere di Commercio; all’eliminazione della figura del dirigente pubblico a tempo indeterminato che insieme all’obbligo di trasparenza e rendicontazione on line delle entrate e delle uscite delle amministrazioni pubbliche intende semplificare e rendere più efficiente e meno costosa la burocrazia.

Il contratto di lavoro ipotizzato dal documento del neo segretario Pd è un contratto di inserimento a tempo indeterminato con tutele crescenti. Per ridurre le oltre quaranta forme contrattuali oggi presenti e facilitare la comprensione delle norme del lavoro anche all’estero, l’idea è quella di presentare, entro otto mesi, un codice del lavoro complessivo che riassuma tutta la legislazione. Non ci sono riferimenti diretti all’articolo 18, sul quale le critiche avrebbero contribuito ad accrescere le resistenze. È previsto però un sussidio per chi perde il lavoro, fruibile anche da chi non ne avrebbe diritto: ci sarebbe quindi l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro. Viene previsto quindi l’obbligo di tenere sotto stretto controllo la spesa pubblica per la formazione professionale e di legarla all’effettiva domanda da parte delle imprese. La parte relativa alle regole si conclude con l’intenzione di creare una Agenzia unica che coordini i centri per l’impiego e gli ammortizzatori sociali e la proposta di legiferare un merito alla rappresentatività sindacale e alla presenza dei di rappresentanti dei lavoratori nei Cda delle grandi aziende.

La parte più innovativa del documento può essere considerata quella relativa alla definizione di piani industriali specifici per ognuno dei settori indicati: Cultura, Turismo, Agricoltura e Alimentazione; Made in Italy (moda, design, artigianato); Information e Communication Tecnology; Green Economy; Nuovo Welfare; Edilizia; Manifattura. «Per ognuno di questi settori, il JobsAct conterrà un singolo piano industriale con indicazione delle singole azioni operative e concrete necessarie a creare posti di lavoro», recita il documento.

Resta da capire se alle dichiarazioni, comunque sintetiche anche solo per un sommario, seguiranno azioni concrete e misurabili per far ripartire l’economia italiana e quindi l’occupazione.

©Futuro Europa®

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