Un mondo in pace?

Dalla fine della Guerra Fredda il mondo è meno esposto al rischio di un conflitto globale, ma non per questo è  più prevedibile e sicuro. Anzi, il venir meno di un sistema che bene o male controllava i conflitti locali, ha permesso il sorgere di focolai che, se non mettono a  rischio la sicurezza mondiale, hanno un costo altissimo di sangue e causano instabilità e danni economici.  Spenti quelli dei Balcani e più o meno circoscritti quelli africani, restano apertissimi quelli del Medio Oriente.

Sul  conflitto israelo-arabo si innestano problemi legati tra di loro in nodi inestricabili: rivolte popolari contro regimi oppressivi, estremismo islamico in lotta tanto contro l’Occidente quanto contro i regimi laici, conflitto tra sciiti e sunniti, ambizioni iraniane di preminenza regionale.  Nonostante gli sforzi della comunità internazionale, è quasi impossibile che questo groviglio di problemi trovi una soluzione nell’immediato futuro. È possibile solo sperare che non degeneri in nuove fiammate belliche. A farlo temere c’era soprattutto la crisi siriana, per la quale è parso a un certo punto imminente un attacco di Stati Uniti, Francia e Inghilterra. Poi le cose sono andate altrimenti. A sua volta, la crisi iraniana, che aveva  fatto ritenere probabile un attacco israeliano od occidentale, con l’accordo di Ginevra ha avuto un principio di soluzione che ha per ora evitato disastrose conseguenze e aperto la strada alla diplomazia.

I problemi, va da sé, sono ancora tutti aperti. Non si intravvedono soluzioni al conflitto israelo-palestinese né alla tragedia siriana. L’Iran potrebbe rimangiarsi  gli impegni presi. In Irak è troppo presto per parlare di stabilità. L’Afghanistan, da cui le truppe della NATO si ritireranno nel prossimo anno, non presenta un quadro rassicurante. Arabia Saudita e Paesi del Golfo (che custodiscono le più grandi riserve di petrolio necessarie all’Occidente), ma anche Algeria e Marocco,  potrebbero entrare inaspettatamente in crisi.  Sono problemi con i quali dobbiamo convivere, perché non ci sono facili scorciatoie. L’importante è che il metodo scelto per affrontarli sia quello della diplomazia (una diplomazia eventualmente rafforzata da sanzioni economiche), del dialogo e della ricerca di un ampio consenso internazionale, che coinvolga anche attori importanti  come la Russia, la Cina e l’Iran.  Per quanto ci riguarda direttamente, dobbiamo avere chiaro che, salvo casi limitatissimi, non c’è spazio per azioni  italiane fuori del quadro dell’Unione Europea e di quello, più ampio, dell’Occidente.

Resterà in pace il mondo nel 2014, limitando o circoscrivendo i conflitti locali? Ragioni per sperarlo ci sono. La politica dei maggiori protagonisti è in genere equilibrata e prudente. Il Presidente Obama ha saputo scegliere la strada della diplomazia di fronte a quella dell’intervento militare stile Bush. Russia e Cina, al di là delle polemiche strutturali con Washington, sono interessate  a impedire turbolenze pericolose. L’Iran, con l’elezione di Rohani, è parso incamminarsi su una strada di maggiore ragionevolezza, importante non solo per la questione nucleare ma per l’insieme della Regione. Vedremo se continuerà.

Al di là del MO c’è il problema della Corea del Nord,  pentola in ebollizione che non scoppia perché i dirigenti di Pyongiang si sono sempre fermati sull’orlo dell’abisso, dando l’impressione di giocare un cinico gioco d’azzardo, un bluff, per ottenere vantaggi dall’Occidente. Ma  ci sono situazioni che possono sfuggire di mano. Anche in questo caso è imperativo agire con prudenza e piena cooperazione tra tutti gli interessati alla pace nella Regione, e su questa linea paiono mantenersi tanto gli Stati Uniti quanto la Russia, la Cina, il Giappone e la Corea del Sud.

Al di là dell’Atlantico, c’è  l’America Latina, un continente a noi vicino per cultura, legami di sangue e cospicui interessi economici. È una vasta area in pace, complessivamente democratica (nonostante i populismi qua e là dominanti) e, sia pure con alti e bassi, in  sostanziale progresso economico. Ad essa dovremmo rivolgere la nostra attenzione assai più di quanto abbiamo fatto in questo decennio.

Chiudiamo queste note con l’Europa. Molte frustrazioni ma anche molte aspettative circolano attorno a quello che essa dovrebbe fare nel 2014. Dico subito, per vecchia esperienza, che per una vera svolta istituzionale tempi e condizioni non mi sembrano maturi. Si potrà invece andare avanti a migliorare con pazienza e realismo quello che è possibile (l’Unione Bancaria ne è un buon esempio). E molte forze concorreranno a far sì che l’Unione contribuisca alla ripresa economica e occupazionale. Gli accordi tra i partiti tedeschi hanno confermato il forte  impegno europeo della Germania e, assieme, il rifiuto ad avallare politiche finanziarie irresponsabili. Entro questi due poli  un margine di manovra esiste, se si vuole  tornare a crescere senza nuovi debiti. Aspettiamo con fiducia le decisioni dei prossimi vertici europei e la scelta dei nuovi  presidenti del Consiglio e della Commissione.  L’Italia, che avrà la presidenza nel secondo semestre (ed ha ottimi candidati per le due cariche), ha buone carte da giocare, purché al Governo Letta sia garantita la necessaria stabilità, lasciando da parte le vociferazioni  degli sfascisti di turno. Occorre inoltre che le elezioni di maggio mandino a Strasburgo gente preparata, disposta a sostenere e migliorare l’Europa, non a boicottarla.

©Futuro Europa®

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