Economia globale, tra protezionismo e congiuntura

A settembre scorso si è svolto un convegno indetto da Nomisma, nella propria sede bolognese di Palazzo Davia-Bargellini, argomentando sul rallentamento dell’economia globale. Un panel di altissimo livello che allineava Michele Ruta (lead economist della World Bank), Alberto Vacchi (Presidente Confindustria Emilia), Ivan Scalfarotto (Sottosegretario del MISE), come moderatoro il dr. Andrea Goldstein (chief economist di Nomisma).

Si è evidenziato come dopo il crollo del 2009, momento in cui a seguito di una crescita annua mondiale attorno al 7%, si ebbe un crollo del 10% per poi risalire ad un ritmo del 3% circa e 4% nel 2017 attuale. Nel periodo fino al 2000 il commercio aumentava di un tasso doppio rispetto all’economia mondiale, negli ultimi anni invece i tassi sono rimasti più o meno alla pari. Mentre fino al 2013 la crescita era trainata dai Brics, dal 2014 è il mondo industrializzato a tirare.  Ora il commercio cresce lentamente parallelamente e risentendo della moderata crescita economica. Negli ultimi anni si sono avuti il crollo dei prezzi delle materie prime, le commodities, per effetto della crisi dei brics, il tutto aggiunto alla politica della Cina che ha spostato il proprio trend dagli investimenti ai consumi contribuendo a deprimere il commercio, producendo autonomamente beni che prima importavano.

Quanto incide realmente il protezionismo sul commercio globale? Domanda cui non pare facile rispondere, gli strumenti classici sono le salvaguardie, ma queste coprono uno share del 1-2% del commercio mondiale, altre misure sono nascoste e quindi di difficile misurazione. L’incertezza delle politiche economiche è il terzo fattore che incide sul rallentamento, eventi come la brexit e gli accordi che verranno tra UE e UK, la rinegoziazione del Nafta, tutti fattori che contribuiscono a rendere incerta la situazione.

Proseguendo nella sua esposizione, il dottor Ruta ha posto l’attenzione anche sul rallentamento della liberalizzazione, molto forte negli anni ’90, ci fu ad esempio l’ingresso della Cina nel WTO. Il rallentamento delle catene globali di valore e produzione, sinteticamente, il vantaggio comparato dalla specializzazione si è visto che si esplicita piuttosto nei task, a livello di attività, tipo l’assemblaggio del iPhone piuttosto che R&D. I rimedi possibili che vengono alla luce sono essenzialmente tre: politiche multilaterali al WTO risolvendo vecchie questioni come tariffe alte nei settori manifatturieri ed agricoli; sviluppo di settori emergenti come le tipologie di nuovi servizi che appaiono tra i più dinamici; nuove aree di azione come e-commerce ed e-trade, settori non ancora regolamentati, in quanto al momento troppo nuovi.

Il Presidente Vacchi ha evidenziato come negli ultimi 6 mesi sia prevalsa una solida area di ottimismo, ma il nuovo scenario del commercio mondiale porta a dover cambiare gli orizzonti e le politiche. Ora si è molto diversi rispetto all’inizio dell’analisi di pochi anni fa, il primo aspetto è che l’aumento del commercio non porta nuova occupazione, o perlomeno lo fa in maniera molto inferiore rispetto al passato. La formazione e quindi i percorsi formativi conseguenti, al momento non sono adeguati o non lo sono a sufficienza. Mancano le strutture predisposte alla dinamica del mercato e l’attrattività per i giovani verso le nuove opportunità di mercato. Oggi vi è un mondo di aziende diffuse, quindi una dinamica molto più ampia rispetto al passato, il tutto dovrà essere coniugato con una forte digitalizzazione e tecnologie innovative. Stringendo, serve un approccio sistemico di paese in quanto non è più sufficiente il fare da soli.

Venata di ottimisto governativo l’esposizione del sottosegretario Scalfarotto, secondo cui  gli ultimi dati Istat riscontrano un aumento del 8% delle esportazioni, la competizione tra aziende nel mondo è al 20%, il resto è tra governi, qundi serve un forte impegno istituzionale a supporto. Il CETA, ora entrato in vigore, introduce la denominazione d’origine geografica andando a sanare il fatto che nei paesi anglo-sassoni vige solo il marchio registrato, ad esempio il prosciutto viene esportato non come prosciutto di Parma, ma original prosciutto, perché il marchio Prosciutto di Parma in Canada era stato registrato da un’azienda.

Riguardo l’ambiente ha ricordato come la Cina si stia muovendo in maniera molto forte, e sicuramente non si può rincorrere chi fa gli standard più bassi, ha definito molto grave la decisione statunitense di uscire dagli accordi di Parigi.  Alla mia domanda riguardo i motivi di una crescita italiana di oltre 1 punto inferiore alla media europea, il sottosegretario ha risposto che l’Italia è molto più ligia di altri paesi europei, rispettando i parametri europei di rapporto deficit-pil e riduzione del rapporto debito-pil. Purtroppo non c’è stato il tempo di porre una ulteriore domanda sul perché, quindi, il debito italiano aumenti di 10 miliardi di euro al mese dall’insediamento del governo Renzi (poi Gentiloni).

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