Danimarca, Pay to stay è legge

Arriva da un Paese considerato tra i più progressisti d’Europa, riguarda la riforma del diritto d’asilo. Parliamo della Danimarca e della recente approvazione della legge che prevede, a carico dei profughi, il cosiddetto “pay to stay”, cioè la confisca dei beni personali per contribuire al proprio accoglimento e rispettiva permanenza in loco. Il varo delle nuove misure, figlie dell’esplicita volontà di opporre deterrenza all’invasione migratoria, per contenerne l’onda d’urto e dirottare verso altri lidi parte dei profughi già all’interno dei confini danesi, fa discutere sul piano internazionale e la dice lunga su crucialità e dimensione del problema, ormai trasferitosi dalle coste nostrane ed elleniche a tutto il ricco Nord-Europa, meta finale dell’esodo e in grado di offrire maggiori opportunità di vita e lavoro.

E’ certamente indubbio che, ai disperati in fuga dalle guerre in corso nei loro paesi di provenienza, si aggiungano eserciti di migranti economici, privi di documenti d’identificazione, talvolta infiltrati da delinquenti e pericolosi terroristi, che generano, nei paesi ospitanti, un notevole rischio per l’ordine pubblico, un sovraccarico critico negli apparati di assistenza sociale e sanitaria e inevitabili tensioni per questioni d’integrazione civile e culturale. Gli esempi del capodanno a Colonia e altri sgradevoli fatti di cronaca, molti relativi ad aggressioni alle donne, attestano una manifesta incompatibilità dell’Occidente con la visione oscurantista di certe frange del fondamentalismo islamico. Le stesse dichiarazioni di alcuni Imam, residenti nel Vecchio Continente, sembrano giustificare gli inaccettabili atti registrati dalle autorità giudiziarie europee, gettando di fatto altra benzina sul fuoco.

Probabilmente, la pericolosità degli effetti legati agli ingressi in massa di stranieri ha convinto la Danimarca, al pari di Svizzera o regioni come il Baden-Wurttemberg in Germania, che già adottano misure restrittive in tal senso, a conferire agli organi di Polizia la facoltà di sequestrare loro i beni eccedenti al valore di 10.000 corone (quasi 1.350 euro), esclusi gli oggetti d’uso personale, come orologi e cellulari, o di valore affettivo, come le fedi matrimoniali, e di allungare da uno a tre anni i tempi previsti per il ricongiungimento familiare. La legge, presentata dal premier liberale Rasmussen e supportata anche dall’opposizione costituita dal Partito del Popolo, marcatamente conservatore e orientato a un raffreddamento del processo d’integrazione europea, è stata approvata a grande maggioranza con 81 voti a favore su 109 presenti.

Mentre l’Europa s’interroga sulla necessità di sospendere il trattato di Schengen, garanzia della libera circolazione all’interno dell’Unione, con grave danno per gli scambi economici tra i paesi membri e, soprattutto, con grave compromissione di uno dei principi fondanti dell’Istituzione europea, il Washington Post ha attaccato duramente l’iniziativa legislativa danese, rievocando, a cupo paragone, le confische effettuate dai nazisti a danno degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Analogamente, si sono scagliate contro la norma che dilata i tempi del ricongiungimento familiare l’Agenzia Onu per i Rifugiati e Amnesty International, organismi che addebitano ad essa la violazione della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo.

Copenhagen si difende dalle accuse, giustificando il sequestro dei beni con l’esigenza di allineare i profughi alle condizioni dei disoccupati danesi non in grado di provvedere autonomamente al proprio sostentamento; ciò, affinché anche ai rifugiati sia consentito legale accesso all’efficiente welfare del Paese scandinavo, evitando disparità di trattamento rispetto agli autoctoni. Il governo danese, in verità, ha tenuto conto – in chiave elettorale – anche dei recenti sondaggi nazionali, da cui sarebbe emerso che il 70% della cittadinanza reputa l’ondata migratoria il principale problema da risolvere.

I conflitti civili e di religione, le lotte per la successione al potere e i disumani crimini perpetrati dalle milizie del nascente Stato Islamico, a danno delle popolazioni in Nord-Africa e Medio Oriente, sono, dunque, gli strumenti di pressione che alimentano il fenomeno della migrazione di massa e lo trasformano nella più letale arma di destabilizzazione e caos che le società europee del terzo millennio possano affrontare.

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