Perché il Partito popolare italiano nel PPE

Il Cesarismo è stato affossato in nome di una forte spinta al recupero dell’identità ovvero al superamento dell’indistinto. Mi spiego. In questo ventennio abbiamo vissuto nell’illusione di un’alternanza posticcia, costruita attorno ad un relativismo culturale d’accatto. Un’alternanza costruita in laboratorio in funzione della quale abbiamo mortificato la politica che è tale solo nella misura in cui discende dalla conoscenza e dal pensiero. Quando la politica si riduce ad algebra allora non c’è alternativa alla barbarie. In tale contesto, abbiamo alimentato una contrapposizione tribale giocata tutta sui personalismi e sulla delegittimazione che ha trovato nella frattura tra berlusconiani ed anti berlusconiani il suo alfabeto.

Nel momento in cui quella frattura è venuta meno – e mercoledì scorso è venuta plasticamente meno – quello schema posticcio s’è sgretolato. Il recupero dell’identità è una necessità avvertita tanto a destra quanto a sinistra ma era del tutto evidente che la rottura di quello schema sarebbe dovuta necessariamente arrivare da quella parte del campo. Solo la fine dell’egemonia berlusconiana, la caduta di quella leadership, avrebbe potuto innescare questo processo.

Il merito di questo va certo attribuito al coraggio e alla lungimiranza di Alfano, Quagliariello ed altri ma soprattutto ad Enrico Letta che ha potuto fare quel che ha fatto grazie alla copertura politica del Capo dello Stato. Letta ha vinto contro tutti. Ha vinto contro Renzi, contro Epifani, contro Berlusconi e contro Grillo. Tutti volevano andare al voto ma lui ha giocato la sua partita da fuoriclasse, ha saputo utilizzare il suo ruolo per scardinare quello schema posticcio, per determinare le condizioni affinché si superasse la frattura berlusconiana. Lo ha fatto cogliendo l’attimo, facendo leva su una contingenza quanto mai complessa, lo ha fatto (va detto anche questo) lucrando sulla condizione di oggettiva debolezza di Berlusconi. Il suo più grande merito è stato quello di aver saputo vincere la prudenza ed i timori di Alfano e compagnia, di aver saputo recuperare sul terreno dell’identità comune un dialogo proficuo e libero dalle gabbie della retorica di questo ventennio. La sua è stata una grande operazione politica.

E’ evidente che questa è la vendetta della Storia. Il fatto che questo smottamento sia figlio di un ritrovarsi tra pezzi di classi dirigenti figli della stessa famiglia identitaria, quella del popolarismo, conferma che questo processo riverbererà i propri effetti anche a sinistra in funzione di una normalizzazione del nostro sistema politico. Parliamo da venti anni di centrosinistra e di centrodestra ma non si capisce dove sia il centro. Il punto è che abbiamo ritenuto che il bipolarismo dovesse necessariamente declinarsi in funzione di una destra e di una sinistra mentre, in realtà, in tutta Europa il bipolarismo si gioca sullo schema centro-sinistra. La diaspora democristiana è la genesi di questo vulnus ma oggi si apre una fase nuova.

L’otto dicembre Matteo Renzi verrà incoronato Segretario nazionale del Pd e sono convinto che di lì si aprirà la strada ad un chiarimento definitivo. L’asse Letta-Renzi sarà egemone e molto probabilmente si creeranno le condizioni per un incontro al centro con il nascituro blocco che fa capo ad Alfano. A quel punto la sinistra potrà ritrovare la via dell’unità per restituire al Paese un’autentica forza socialdemocratica in linea con i dettami europei, pronta a confrontarsi, in un contesto di alternanza sano, con una forza autenticamente popolare e liberale. Sono convinto che le prossime elezioni europee potranno fare da spartiacque.

Una riflessione sull’autorevolezza delle nuove classi dirigenti è necessaria e va fatta proprio sul piano identitario a partire da un’analisi approfondita di quel che è accaduto in questi anni e se determinate storture si sono verificate è perché abbiamo vissuto questo tempo in una sorta di dittatura dell’immediato che ha soffocato l’identità ammazzando la cultura. Ecco perché non basta la bandierina del popolarismo, ecco perché il vero rischio è quello di cedere ancora una volta alla semplificazione. Senza sogno non andiamo da nessuna parte ed il sogno non lo possiamo recuperare limitandoci ad evocare Sturzo, De Gasperi o Einaudi. Quelle sono le fondamenta indispensabili dalle quali muovere ma poi è necessario ricercare nuovi linguaggi attraverso cui declinare una proposta in linea con le sfide della modernità. Il mondo è cambiato e Papa Francesco ce lo ricorda ogni giorno. Noi dobbiamo essere in grado di dar vita ad un nuovo popolarismo europeo a partire proprio da Lampedusa. Dobbiamo riaffermare il sogno di un’Europa dei popoli e dei diritti, un’Europa che non si riduca a testimonianza o a determinismo finanziario, un’Europa capace di vivere nelle comunità, di farsi cifra identitaria di una nuova cittadinanza.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo è eurodeputato del PPE e presidente della delegazione Popolari per l’Europa al Parlamento europeo]

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