La riforma del Senato

Forse per la suggestione del Senato romano e di quello americano, o per essere figlio di un Senatore di lungo corso, ho sempre avuto grande rispetto per quella che si usava chiamare “la Camera  Alta”. Ma oggi, essa è considerata un ramo secco della nostra alberatura istituzionale e tra gli accordi Renzi- Berlusconi vi è la sua riforma, che dovrebbe dare voce alle autonomie locali,  accorciare e semplificare l’attività legislativa, ridurre i costi della politica.

In verità, nelle democrazie occidentali il bicameralismo perfetto com’è per ora da noi è un’anomalia quasi solo italiana (fosse la sola!). Negli Stati Uniti, in realtà, i Senatori hanno  poteri superiori rispetto ai Rappresentanti. Rappresentano  gli Stati della Federazione, approvano le nomine presidenziali alle alte cariche di governo, amministrative, militari e giudiziarie, ratificano i Trattati internazionali e operano come Alta Corte per l’impeachment del Presidente. Durano in carica quattro anni, rispetto ai due dei Deputati, e la loro autorevolezza, prestigio e peso specifico sono  assai più alti.

Non così in Europa, dove I modelli principali sono rappresentati dai Senati francese e spagnolo, dal Bundesrat tedesco e da quello austriaco.  È superfluo esaminarli qui nei loro differenti dettagli. Vediamone invece i tratti comuni. 1. Salvo nel caso spagnolo, i membri della Camera Alta non sono eletti del popolo:  in Francia sono scelti da 150.000 “grandi elettori”; in Germania e Austria dai Governi regionali.  2. Rappresentano istituzionalmente le autonomie locali. 3. Non svolgono attività propriamente “politica”, in quanto non votano la fiducia al governo e, in Germania e Austria, non ne controllano l’attività attraverso interrogazioni o interpellanze. 4. Partecipano all’attività legislativa con diverso  grado di incisività a seconda della materia, in genere disponendo delle iniziativa di legge. In Francia e Spagna la loro approvazione è sempre richiesta (ma  la Camera elettiva ha l’ultima parola). In Germania e Austria si distingue tra approvazione vincolante, nei casi di leggi costituzionali o attinenti ai poteri, funzioni e organi  degli Stati federali (Lander, e non vincolante negli altri casi, in cui l’ultima parola spetta al Bundestag (Camera dei Deputati).

Questo, s’intende, in estrema sintesi. Funziona il sistema? Nel suo insieme sì, ma non senza problemi. Accade abbastanza spesso che la composizione politica della Camera “federale”  differisca da quella della Camera  “nazionale” (per solito è più “provinciale” e “conservatrice”) e ciò crea ritardi e dissensi.  Talvolta, in relazione a talune leggi, insorgono conflitti sul carattere “necessario e vincolante” dell’approvazione del Bundesrat. Un caso  recente riguarda, in Germania,  le questioni attinenti all’Unione Europea, per la parte in cui toccano prerogative o interessi dei Lander,  breccia aperta per cui è passato un controllo dei Governi locali su temi che dovrebbero essere prerogativa degli organi nazionali. Ed è un campanello d’allarme per chi si preoccupa di non mettere in mano di organi locali una specie di diritto di veto su decisioni di portata nazionale.

In Italia,la questione del Senato fu affrontata dalla Casa della Libertà, con il progetto di riforma  che fu poi bocciato da un referendum popolare. Esso prevedeva un “Senato federale” con metodo di elezione e poteri abbastanza simili agli attuali ed era quindi più che altro cosmetico. Nel giugno del 2007, la Commissione Affari Costituzionali della Camera, presieduta da Luciano Violante,  immaginò un Senato “a tre teste”: composto, cioè, per un terzo da membri eletti direttamente, per un terzo da membri designati dalle assemblee regionali, per un terzo da Presidenti di Regioni e Province e Sindaci delle grandi Città: uno di quegli ibridi di cui la fantasia nazionale è prodiga e che fu, giustamente, distrutto dai politologi. Tanto che la Commissione cambiò parere e, nell’ottobre di quell’anno, depositò un progetto approvato all’unanimità in cui si optava questa volta per un Senato interamente designato dagli organi locali. Ma il progetto rimase nel cassetto, assieme ai tanti di una stagione politica velleitaria e sfortunata. Ora la cosa è tornata nelle mani della stessa Commissione, che dovrà rapidamente pronunciarsi se si vuole che la riforma passi in questa legislatura (altrimenti finirebbe alle calende greche.)

A prima vista, i problemi da risolvere sono tre: numero dei senatori, metodo di designazione, funzioni. Quanto al numero, se si vuol dare un esempio di austerità,  sarebbe normale passare dai 315 membri attuali ai 72 della Germania o, almeno, ai 100 degli Stati Uniti; quanto al criterio di scelta, la designazione da parte delle Assemblee Regionali, con norme che garantiscano un certo equilibrio politico, appare il metodo più idoneo se il criterio-guida deve essere quello della “territorialità” (e a questo proposito, visto che si deve comunque mettere mano alla Costituzione, sarebbe venuto il momento di limitare la partecipazione degli eletti dagli italiani nel mondo al solo Senato, camera non politica e di competenza secondaria  in materia di bilancio). C´è tuttavia sul tavolo  una proposta renziana, secondo cui a far parte del Senato dovrebbero essere direttamente i Presidenti di Regione e Sindaci di grandi Città. La confusione tra funzioni esecutive e legislative non sembra preoccupare il Segretario del PD, ma non importa. Su  tutto si può  discutere. Molto più importanti sono le funzioni da attribuire a questo nuovo organo, non  più “garanzia di una doppia e più meditata decisione” (come ci insegnavano i manuali di Diritto Costituzionale) ma tutore delle autonomie.

Bisogna davvero  auspicare che non si proceda per questo con il solito sistema dei “pezzi e bocconi”, ma avendo in mente un disegno istituzionale complessivo e coerente, nel quale un posto essenziale deve averlo in parallelo una riforma del Titolo V della Costituzione che definisca le funzioni rispettive dello Stato e degli organi locali, senza  doppioni, scavalcamenti, moltiplicazione di costi e conflitti potenziali, e che  si eviti di dare alle autonomie locali un diritto di veto su questioni che riguardano tutti i cittadini: i diritti civili, per esempio, o la politica monetaria; o le relazioni internazionali, specialmente l’Europa.

Cose troppo serie per essere lasciate ai deliri dell’on. Salvini!

©Futuro Europa®

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