Stalking, il confine tra lecito e illecito

Un innamorato respinto e un corteggiamento che supera ogni limite di tolleranza fino a configurare il reato di stalking o, più correttamente “Atti persecutori”, norma introdotta nel 2009 nel Codice Penale. In una sentenza dello scorso ottobre la Corte di Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso dell’imputato, ha confermato una sentenza nei confronti dell’uomo che, con il proprio comportamento, ha determinato un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima. Non una semplice molestia o disturbo quindi, ma una vera e propria persecuzione nonostante il breve lasso di tempo, tre giorni, durante i quali era stata posta in essere la condotta contestata.

Non è quindi necessario un lungo arco temporale per il perfezionamento del reato. Si può quindi commettere stalking anche in pochi giorni, ponendo in essere una pluralità di condotte moleste quali appostamenti, avvicinamenti anche fisici, ed apprezzamenti. Nonostante l’imputato, a proprio dire, fosse mosso dalle migliori intenzioni, la Corte ha ribadito, nella parte motiva del proprio provvedimento, come il comportamento dell’imputato avesse cagionato alla donna intensi stati d’ansia e di timore, nonché avendo costretto la predetta a modificare le sue abitudini di vita e quelle dei suoi figli con comportamenti via via sempre più ossessivi.

Si noti come nella vicenda non siano contestati all’imputato ipotesi di violenza o minaccia o comportamenti particolarmente pesanti o rilevanti nei confronti della persona offesa. Si tratta di una sentenza che fissa importanti principi a tutela delle vittime di una fattispecie di reato purtroppo sempre più frequente e che, purtroppo, è spesso solo l’inizio di un percorso che porta a conseguenze ben più gravi di cui tristemente la stampa ci informa con frequenza sempre più allarmante.

Gli stessi principi che sono alla base di questo provvedimento si ritrovano alla base di un’altra decisione della Suprema Corte che, nel febbraio 2018, confermava il divieto di avvicinamento alla moglie separata da parte del marito che l’aveva reiteratamente minacciata e molestata con continue e asfissianti comunicazioni a mezzo telefono, Facebook e Whatsapp, anche in questo caso causandole un perdurante stato di ansia e paura.

Anche in questo caso il marito separato era probabilmente mosso da intenzioni a suo giudizio meritevoli di tutela, opponendosi in particolare a che i figli avuti dalla moglie non incontrassero il suo nuovo compagno: ma frasi quali “faccio un macello” e “salgo e ti brucio il lettino”, pur mai poste in essere, sono state sufficienti per l’adozione di una misura cautelare nei confronti dell’uomo.

In entrambi i casi i Giudici di Piazza Cavour, hanno poi ribadito come la previsione dell’art. 612 bis non riguardi solo ipotesi in cui la vittima abbia effettivamente avuto un danno di qualsiasi natura, in quanto il reato di stalking si perfeziona semplicemente ponendo in essere comportamenti che siano di per sé idonei a determinare effetti destabilizzanti in una persona.

Si tratta di provvedimenti importanti che si muovono nella direzione di una effettiva tutela delle vittime così come è stato ritenuto reato la condotta di un uomo che aveva ripreso momenti di vita familiare della moglie e poi averli divulgati sul web senza il consenso della donna.  Anche in questo caso l’imputato si era difeso sostenendo la sua buona fede e rilevando come le riprese fossero avvenute all’interno e nella riservatezza della propria abitazione. Il discrimine tra interferenza illecita e lecita non è infatti dato dalla natura del momento di riservatezza violato, bensì dalla circostanza che il soggetto attivo vi sia stato o meno partecipe.

Ultima importante notazione, sempre muovendo da una sentenza della Corte di Cassazione: ai fini della commissione di reati quali, appunto, lo stalking, è stato ritenuto sufficiente che i comportamenti contestati si siano realizzati anche nell’ambito di una sola giornata.

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