Il destino di Alitalia

Poche vicende economiche hanno suscitato altrettanta attenzione e passione. Si capisce che alla fine poche politiche hanno avuto in questi anni un andamento più torturato e incerto di quella dell’Alitalia. Per chi ha vissuto all’estero e vi ha rappresentato il nostro Paese, la nostra compagnia di bandiera ha un valore più che simbolico, quasi affettivo. Ricordo quando servivo in Nigeria. Voli dell’Alitalia univano Lagos con Roma. Li prendevo per i miei viaggi di congedo o di servizio in Italia. Lasciarsi alle spalle il caldo, l’umidità della sera africana, il senso generale di insicurezza, per imbarcarsi su quegli aerei moderni, confortevoli, freschi, essere accolti da un personale sorridente e da una servizio curato, ritrovare la straordinaria cucina italiana, era già un primo ritrovarsi sul suolo della Patria.

Ma al di là di questi ricordi sentimentali, la nostra compagnia svolgeva e sono sicuro che può continuare a svolgere un compito ben preciso per l’immagine del nostro Paese nel mondo e come perno del nostro turismo dall’estero, fonte non secondaria del nostro reddito. Noi italiani siamo abbastanza restii a comprendere che, nei rapporti con il mondo esterno, un Paese è un tutto e il difficile gioco della competizione internazionale deve essere giocato in squadra. È questo concetto che spinge avanti, ad esempio, Francia e Spagna. Per l’Italia, Paese che vive in gran parte sulla propria immagine, tutto deve concorrere a rendere questa immagine forte e gradita e una compagnia aerea efficiente e gradita al pubblico svolge in questo un suo ruolo.

Lo so, nell’economia globale nessuna azienda può sussistere a lungo se è in perdita e la situazione delle grandi compagnie aeree non è facile: sono assediate dalla concorrenza delle low-cost e la nostra in particolare è afflitta dalla genetica cecità dei nostri sindacati, ma la soluzione non può essere quella di statalizzarla e addossare le perdite al Tesoro. Lo vietano le regole europee ma soprattutto il buon senso e la sana amministrazione. Altrimenti si torna al settore pubblico parassitario dei tempi dell’IRI, causa non minore del nostro debito pubblico. Ma questo non può voler dire che lo Stato abbandoni a sé stessa una compagnia strategica per l’insieme della nostra economia o ne accetti senza battere ciglio il passaggio in mani straniere, in condizioni di sudditanza.

Perciò, la recente notizia di una manifestazione d’interesse delle Ferrovie dello Stato a intervenire non può che essere gradita. Si tratta di un’azienda ben gestita e in attivo, con grande esperienza nel settore dei trasporti, e in condizioni di sviluppare utili sinergie con i voli interni e internazionali. Auguriamoci che questa lucetta al fondo del tunnel non si spenga subito, tra le solite risse tra partiti, gruppi, ideologie e tra noi e l’Europa. Se il Governo vuol dimostrare di essere serio ed efficiente, è questa l’occasione giusta.

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