Cronache dai Palazzi

Continua lo stallo politico. Dopo due mesi dalle elezioni del 4 marzo, l’Italia non ha ancora un governo. “A distanza di due mesi le posizioni di partenza dei partiti sono rimaste invariate e non è emersa alcuna prospettiva di maggioranza di governo”, è stata la sintesi del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Lunedì sarà un nuovo giorno di consultazioni al Quirinale, il terzo giro per l’esattezza, “per verificare se i partiti abbiano altre prospettive di maggioranza di governo”, come si apprende da fonti del Colle.

Il capo dello Stato auspica sia l’occasione decisiva e sembra aver lanciato un ultimatum ai partiti; qualora questi ultimi non dovessero raggiungere un accordo valido per la formazione di un nuovo governo, il presidente Mattarella  prenderà in mano la situazione, assumendosi l’onere dell’iniziativa. Potrebbe quindi nascere un governo del presidente con alla guida una personalità “terza”, esterna ai partiti – una guida “economica” – che comunque dovrà ottenere la maggioranza sulla legge di Stabilità e molto probabilmente sulla legge elettorale.

Il presidente Mattarella ha, a sua volta, espresso forte preoccupazione per i rischi che corre il Paese restando ancora senza un governo nel pieno dei suoi poteri, con il rischio di presentarsi più deboli alla trattativa sul bilancio comunitario e al consiglio europeo di fine giugno; senza dimenticare la legge di Bilancio da presentare in ottobre, prevedendo un esercizio provvisorio dell’esecutivo.

Il prossimo potrebbe essere, in sostanza, un “esecutivo di tregua” con degli obiettivi minimi ma essenziali, primo fra tutti varare la legge di Stabilità nel prossimo mese di ottobre e magari mettere mano alla legge elettorale prima di nuove elezioni.

Il dato di fatto più evidente è che i mandati esplorativi finora affidati dal presidente Mattarella alla presidente del Senato Casellati e al presidente della Camera Fico non hanno portato i risultati sperati e quindi si riparte di nuovo da capo. L’impossibilità di un accordo centrodestra-pentastellati e la mancata intesa M5S-Pd hanno riportato sulla scrivania del presidente della Repubblica il rebus della formazione di una maggioranza che sia in grado di incaricarsi della formazione di una squadra di governo.

Un governo per le riforme sembra essere la strada preferita un po’ da tutte le forze politiche, anche dai dem che, a ridosso delle diverse incomprensioni in direzione, hanno espresso un chiaro ‘no’ a governi Di Maio e Salvini. Il Partito democratico punterebbe, in pratica, sull’operato del presidente Mattarella per evitare le elezioni a breve.

Il leader del Carroccio, invece, si presenta a sua volta come l’ultima spiaggia “per dare un governo agli italiani che lo chiedono e sono stufi di tutte le manfrine di Palazzo”. Matteo Salvini è forse l’unico leader non intaccato da due mesi di trattative e vuole mantenersi tale per tentare la strada verso Palazzo Chigi. “Voglio l’incarico, e sono pronto a rischiare”, sono le parole di Salvini. Ovviamente l’ultima parola spetta al presidente della Repubblica ma “io sono prontissimo – ha dichiarato Salvini – a metterci la faccia. La gente dice di provarci fino all’ultimo. Avrei da guadagnare dalle elezioni, perché la Lega è l’unico partito che cresce, ma a me interessa che cresca l’Italia”. Salvini preme anche sul fatto che il Colle mira ad evitare le elezioni anticipate, schivate tra l’altro anche dai vari partiti.

Nonostante le critiche ricevute da Luigi Di Maio, Salvini si dimostra, per di più, ancora “disponibile ad incontrare anche subito il leader dei pentastellati”, dimostrando apertura al dialogo e assenza di veti, pur consapevole dell’ardua strada verso l’accordo con i grillini. Ma “o la va o la spacca”, così Matteo Salvini va avanti e se l’accordo con Di Maio non dovesse concludersi “faremo da soli – ha affermato il leader della Lega – anche a costo di fallire”. Altra strada sarebbe quella di andare a cercare i voti in Parlamento anche se Salvini ha più volte ribadito: “Non voglio l’appoggio dei vari Scilipoti”. Il leader del Carroccio sembra assecondare anche semplicemente un esecutivo ponte, un governo elettorale con i Cinque Stelle fino a dicembre, e ribadisce: “Continuo a escludere qualsiasi rapporto con Renzi, Gentiloni e la Boschi. Il governo lo fa chi ha vinto”.

Dicembre  e non ottobre anche perché rimane il problema della legge elettorale. Tornare a votare in autunno con l’attuale sistema di voto non modificherebbe di molto l’atlante politico. E, per di più, non si compirebbero le scelte per dare sicurezza al Paese. Un governo che ci traghetti (almeno) fino alla primavera del 2019 – come auspicato anche dal Colle – sarebbe inoltre l’ipotesi più a favore della stabilità. Nel quadro della manovra finanziaria, occorre comunque evitare l’aumento dell’Iva per i possibili effetti recessivi sull’occupazione e su bilanci di famiglie e imprese.

La linea salvinista potrebbe prevedere infine un governo di scopo, come ha prefigurato il numero due del Carroccio, Giorgetti. “Siamo disponibili a prendere l’attuale legge elettorale e a mettere un premio di maggioranza, alla lista o alla coalizione per me non fa differenza, che garantisca di governare a chi prende un voto in più”, ha dichiarato a sua volta Salvini. In pratica un contrattino con i 5 Stelle in mancanza di un contratto di governo vero e proprio con i pentastellati. “Tocca a noi. Ho fretta che ci sia un governo che difenda a Bruxelles gli interessi degli italiani”, ha sottolineato in definitiva il leader della Lega.

A proposito di Unione Europea, la Commissione ha varato il progetto di bilancio per il 2021-2027 ed è già cominciata la battaglia sui conti. L’Italia, come ha preannunciato Padoan in un tweet, dovrebbe ottenere un po’ di sollievo in virtù dell’integrazione degli immigrati, un fattore che peserà nella redistribuzione delle risorse soprattutto perché si prevede la strutturazione di un fondo di stabilizzazione per sostenere gli investimenti durante le crisi. Bruxelles prevede però anche dei tagli sostanziali come quello dei fondi di coesione alle regioni più povere (del Sud) e all’agricoltura. E anche se i tagli non si possono ancora quantificare, il commissario all’agricoltura Phil Hogan ha annunciato che l’Italia fa parte di un gruppo di 16 Stati per il quale i pagamenti diretti subiranno una riduzione del 3,9%. I fondi della coesione – che per l’Italia assumevano un peso importante nel periodo 2014-2020, circa 36 miliardi – subiranno anch’essi una diminuzione di almeno il 7%. In sostanza radunando Fondo di sviluppo regionale, Fondo sociale, Fondo per lo sviluppo rurale e Fondo per la pesca, la quota Ue subisce “sulla carta” una riduzione netta pari a 5,3 miliardi (comprensivi del taglio alla coesione). In questo contesto il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, ha affermato: “Serve un governo autorevole per evitare i tagli”.

Nella pratica la Brexit ha lasciato un “buco” di 14-15 miliardi all’anno e quindi esiste una duplice sfida: colmare questo buco e fronteggiare le nuove sfide ossia investimenti, giovani (sia per quanto riguarda l’occupazione sia per l’Erasmus per il quale è previsto un aggravio di spesa di 30 miliardi), economia digitale (12 miliardi, 9 volte la spesa relativa al periodo 2014-2020), ed inoltre immigrazione, difesa e sicurezza. Risulta infine triplicata la spesa per la gestione delle frontiere esterne, della crisi migratoria e l’asilo che toccherà quota 33 miliardi. Tra le soluzione per accumulare nuove risorse vi è una tassa sulle imprese e una sui rifiuti, anche se aumentare i contributi risulta essere una soluzione molto impopolare.

©Futuro Europa® Le immagini utilizzate sono tratte da Internet e valutate di pubblico dominio: per segnalarne l’eventuale uso improprio scrivere alla Redazione

Print Friendly, PDF & Email
Condividi

Sii il primo a commentare su "Cronache dai Palazzi"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato


*