Cuba, dove vai?

Cuba cambia e chissà dove va. Pullulano i nuovi baretti in stile finto italiano dove si mangiano calzoni e simil pizze condite con tanta roba, dove le insalate scrocchiano per la freschezza degli ingredienti e il palato viene rinfrescato da drink famosi e invitanti. E i camerieri – a volte più numerosi degli ospiti – si intrecciano tra i tavoli con sorrisi e impacciata professionalità. Come prima, qui sorridono tutti, ti salutano in ascensore e si informano anche della tua nazionalità; non come da noi dove dividiamo questi momenti con gente muta che fissa in terra per non incrociare gli sguardi. Cuba cambia e si vedono i cantieri di un nuovo hotel in costruzione che avrà 42 piani affacciati sul Malecon; un progetto dei cinesi da sempre buoni amici.

Poi però i taxi nuovi ti spennano, ricevute manco a parlarne, tariffe semi fisse. Ci sono sempre le meravigliose macchine degli anni cinquanta che ti ammiccano colorate tutte in fila parcheggiate nei pressi dei grandi hotel, mentre sono quasi scomparsi i cartelloni che in ogni luogo e in ogni lago riportavano frasi come Socialismo o Muerte, Hasta siempre Comandante, Adelante compañeros e tante foto del Che, del Lider Maximo. Sono quasi spariti, restano scritte dipinte sui muri scoloriti o negli ingressi di vecchi edifici.

Cuba cambia e apre un albergo di lusso con una piscina sul tetto che domina il centro storico, che si affaccia davanti il Campidoglio, un panorama straordinario che a volte si arricchisce di nuvole minacciose. E si bevono i drink della storia, un Daiquiri, un Mojito, un Cuba libre serviti e riveriti in un posto dove la camera costa più di mille euro. Cuba cambia e poi per un guasto all’aeroporto internazionale de L’Avana i voli in arrivo subiscono ritardi di ore e quelli in partenza vengono cancellati.

Cosa resterà dell’isola bella, del suo fascino insolito e morbido come il sedere delle belle donne mulatte, cosa ci sarà ancora di speciale in questi posti che evocano grandi scrittori del passato, ormai presi d’assedio da turisti in ciabatte. E  un gruppo di americane brutte e grasse con le loro camicie a fiori che commentano le meraviglie della città con gridolini pieni di Uonderful mostrano al popolo un futuro di dollaroni elargendo mance generose.

E se chiedi loro se stanno bene a L’Avana si sbracciano per farti capire quanto loro amino i cubani. Poi gli dici “raccontalo al tuo Presidente“ e tutte fanno cenni buffi e dicono che lui è pazzo, perché si sa, nessuno lo ha votato il pazzo. La sera al tramonto si accendono le luci de L’Avana e per un momento sembra tutto come prima. Dura un attimo: si manifesta il progresso e la magia svanisce.

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