Il pasticcio siriano

Tutte le notizie che arrivano da quel disgraziato paese dimostrano che la situazione in Siria è un pasticcio dei peggiori. In quel corpo ormai esanime si sommano e si incrociano tutte le follie, i calcoli, gli interessi del mondo. Orientarsi tra tutte le parti e le loro fazioni è un’impresa da esperti (nel nostro giornale, forse solo Jacqueline Rastrelli ci riuscirebbe). Andando all’essenziale, c’è un regime, quello di Assad, che non è disposto ad andarsene, e di fronte ci sono vari gruppi di oppositori e ribelli, non si capisce fino a che punto in sintonia tra loro. Poi ci sono gli attori esterni: Russia, Iran, Turchia, Israele, Stati Uniti, Francia (per fortuna l’Italia si è tenuta fuori da questo vespaio). E su tutto continua a profilarsi l’ombra del fondamentalismo islamico.

Giorni fa, Russia, Iran e Turchia si erano accordate, o parevano averlo fatto, attorno a due punti fondamentali: i Turchia accettano la permanenza di Assad, gli altri lasciano ad Ankara la mano libera per colpire i Curdi, il vero spettro per la Turchia. In parallelo (pareva), Trump preannunciava il ritiro delle truppe americane, anche se a data da definirsi. Ora, però, gli Stati Uniti e la Francia minacciano fuoco e fiamme in rappresaglia all’uso delle armi chimiche da parte del regime di Assad, e Israele colpisce le sue basi militari.

Da tempo penso e scrivo che l’Occidente in Siria ha sbagliato tutto, demonizzando Assad, che certo non è un fiorellino di democrazia e di umanità (ma quanti lo sono nel Medio Oriente?), senza capire che dietro i suoi oppositori c’era l’estremismo islamico. Questo tragico errore, dovuto a Parigi e a Washington, ha aperto le strada a una crescente influenza russa, che causa un serio problema all’Occidente e alla NATO e in buona parte determina l’ostinata presenza occidentale.

Credo che lo sbaglio iniziale sia stato di Obama e di Hollande, e in minor misura di David Cameron (che ha fatto da mosca cocchiera). Non voglio sembrare cinico (come si attribuisce spesso ai diplomatici), ma la politica estera non si fa coi sentimenti e meno ancora coi risentimenti, ma pesando bene gli interessi in gioco e guardando, se possibile, anche al di là delle contingenze.

Ho un ricordo personale di una visita condotta, alla fine degli anni Ottanta, ad Hafez Assad, padre dell’attuale leader siriano. Era un uomo complesso, intelligente, non sempre decifrabile, ma non era un nemico viscerale dell’Occidente, né certo lo era suo figlio, formatosi nella pacifica Svizzera. Durante la seconda Guerra del Golfo, schierò il suo paese a fianco della coalizione che combatteva Saddam Hussein. Il suo regime non ha mai attaccato militarmente Israele (non certo per bontà, ma per sano realismo). Ha, certo, coltivato amici poco raccomandabili, come l’Iran e l’Hezbollah, ma anche Trump ne ha. E non mi pare che la ferocia di Erdogan verso i Curdi e i suoi stessi oppositori interni abbia molto da invidiare a quella di Assad. Non sarà comunque l’interventismo di Netanyahu a semplificare i dati di un problema che si farà sempre più aggrovigliato, fintantoché una delle parti in gioco non si farà da parte (e penso proprio che non sarà Putin).

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