Cronache dai Palazzi

Prove di governo tra Cinquestelle e Lega. Spunta l’ipotesi di un governo ‘breve’, magari 12 mesi, per poi tornare alle urne. Di Maio e Salvini tendono, in pratica, a capitalizzare i risultati elettorali ottenuti il 4 marzo.

Caroccio e pentastellati mettono comunque nero su bianco la possibilità di tornare a votare nel 2019 quando, tra l’altro, si voterà anche per le Europee e per il rinnovo di oltre il settanta per cento delle amministrazioni locali. Le schede potrebbero quindi essere diverse.

Nel frattempo il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, cerca di difendere il suo feudo evitando un’eventuale emorragia per ipotetici “cambi di casacca” da FI alla Lega, tutto ciò dopo l’aut aut di Matteo Salvini che mira a Palazzo Chigi. Il leader dei forzisti cerca comunque un accordo con la Lega anche per monitorare le elezioni per le presidenze delle due Camere, evitando di essere tagliato fuori da un possibile accordo Lega-M5S che potrebbe allargarsi anche al nuovo governo. Dal Parlamento europeo, invece, Antonio Tajani – premier ‘designato’ da Berlusconi in campagna elettorale – ammonisce che un governo M5S-Lega vorrebbe dire “tradire gli elettori”, quasi un avvertimento a non proseguire sulla strada intrapresa. In definitiva Lega e Cinquestelle sono sicuri  di una cosa: no al governo di tutti, o meglio ad un governo istituzionale. “Stop a formule istituzionali, non temiamo le elezioni”, sono le parole di Luigi Di Maio. “Governo con i 5 Stelle? Di sicuro mai un governo con il Pd”, è invece la sintesi di Matteo Salvini.

Per quanto riguarda le elezioni dei nuovi presidenti di Camera e Senato, il capo politico del Movimento rivendica la presidenza di Montecitorio: “Ho ricordato a Salvini che il Movimento 5 Stelle è la prima forza politica del Paese, con il 32% dei voti, pari a quasi 11 milioni di italiani che ci hanno dato fiducia, e che alla Camera abbiamo il 36% dei deputati”, scrive Di Maio su Facebook, aggiungendo: “Per noi questa volontà è sacrosanta e vogliamo che venga rispecchiata attraverso l’attribuzione al Movimento della presidenza della Camera”. Tutto ciò magari anche per portare avanti la battaglia per l’abolizione dei vitalizi.

La partita per la presidenza di Montecitorio non è comunque per niente facile, e le trattative non escludono altri nomi che potrebbero accontentare anche dem e forzisti. In sostanza non saranno tutte rose e fiori ma i Cinquestelle si dichiarano pronti al dialogo anche per l’approvazione del Def, che dovrà avvenire per via parlamentare. In sostanza, “di ministeri si parla con il capo dello Stato, ma con le forze politiche in Parlamento parliamo di temi”, è la sintesi di Di Maio dal palcoscenico delle imprese nel capoluogo lombardo – tra Confcommercio e Confartigianato – dove reclama la necessità di tutelare il made in Italy, di ridurre il peso fiscale per le piccole e medie imprese partendo dall’Irap e dall’Imu sugli immobili strumentali.

A proposito di elezioni per le presidenze delle due Camere, il nuovo segretario del Pd, Maurizio Martina, ha a sua volta affermato che il Pd non si sottrae al confronto e non preclude un eventuale accordo su “figure autorevoli e di garanzia”. Per i forzisti la Lega non può comunque aspirare ad ottenere la presidenza di una Camera e nel contempo avere mano libera sul governo. Se i 5 Stelle ottenessero la presidenza di Montecitorio “il Senato va al centrodestra, semmai”, ha dichiarato Renato Brunetta, che ha aggiunto: “E poi non dimentichiamo il Pd. Se il M5S vuole fare, come dice, un presidente di garanzia, il Pd è il secondo partito e non va emarginato”.

Nessuno ha comunque i numeri per eleggersi entrambi i presidenti di Camera e Senato né, tantomeno, per formare una maggioranza di governo. Prevale l’ipotesi del governo di tregua e anche il Quirinale è convinto che, dopo le contorsioni di questi giorni, nel momento delle consultazioni per il nuovo governo prevarrà il senso di responsabilità. Sarà magari un governo di transizione con pochi punti sui quali focalizzare l’attenzione, e pochi obiettivi da perseguire, in grado di guidare il Paese durante un periodo di rilevante incertezza. Un governo di tregua – che è ben altra cosa rispetto a un governo del Presidente o istituzionale – potrebbe tranquillamente accompagnare l’Italia in Europa, rispettando gli impegni richiesti dalle istituzioni Ue, e potrebbe prefiggersi l’approvazione di una nuova legge elettorale con lo scopo di far tornare gli italiani alle urne nel febbraio del prossimo anno.

Tornare a votare con questa legge elettorale non sarebbe in effetti un tentativo utile. Il Rosatellum va rivisto cercando di formulare un sistema di voto che sia in grado, il più possibile, di far uscire dalle urne un solo vincitore. Le ipotesi potrebbero essere premio di maggioranza o doppio turno. E prefigurando già una nuova legge elettorale, Matteo Salvini ha dichiarato: “Non si può che partire da quella attuale, inserendo un premio di maggioranza alla coalizione. Qualunque altra soluzione vorrebbe dire prendere in giro gli elettori e tenerli in ostaggio un anno”. Per confezionare una nuova legge elettorale ci vuole però un governo, dopodiché il tutto si potrebbe fare “nell’arco di una settimana”, ha affermato il leader della Lega.

Per quanto riguarda un ritorno prematuro alle urne Salvini ha inoltre sottolineato: “Mai avuto paura di confrontarmi con gli elettori, ma mi auguro che gli italiani non debbano tornare a votare domani mattina, altrimenti poi si stancano di votare”.

In campo c’è anche l’ipotesi di un governo di centrodestra (anche se non ci sarebbero i numeri) per cui  i temi  ci sono già: “Cancellare la Fornero, ridurre le tasse, riformare la scuola e non nel senso del Pd, la legittima difesa, l’immigrazione e le direttive europee, vedi Bolkestein”, ha dichiarato Salvini. “Gli accordi di governo li facciamo per la coalizione, non solo per la Lega. Non ci saranno scelte solitarie”, ha ribadito il leader del Carroccio. Il punto principale sul quale focalizzarsi è il programma: “Stiamo lavorando per aggiornarlo”. Per quanto riguarda una eventuale coalizione di governo con i Cinque Stelle le distanze sono “culturali di fondo: noi vogliamo lo sviluppo a loro interessa l’assistenza”, ha affermato Salvini. In questo contesto è chiaro il riferimento al reddito di cittadinanza sul quale però si può tentare di discutere: “Partiamo da punti di vista lontani, ma vediamo se troviamo un’idea comune”.

In pratica la soluzione potrebbe essere un governo di convergenza sui programmi. Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, ad esempio, in un contesto di realpolitik i pentastellati prevedono di non includerlo nel Documento di economia e finanza. Il ministro del lavoro designato da Luigi Di Maio, Pasquale Tridico, ha parlato di “reddito minimo condizionato”, che dovrebbe essere il più possibile slegato dal rapporto deficit/Pil e dagli investimenti produttivi dello Stato. Il reddito di inclusione pensato dai Dem rappresenta una buona base di partenza e quando sarà a regime ne beneficeranno 2,5 milioni di famiglie. Il Movimento Cinque Stelle prevede invece che il reddito di cittadinanza possa raggiungere 2,7 milioni di famiglie, quindi si tratta di numeri in definitiva non molto distanti.

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