Bike sharing, c’è chi fugge dall’Italia

Mezzi pubblici gratis per combattere lo smog: l’idea è stata lanciata dal governo tedesco in una comunicazione inviata alla Commissione Europea per evitare di incorrere nella procedura di infrazione per lo sforamento dei parametri sulla qualità dell’aria.  In Germania si parla, per ora, soltanto di una sperimentazione in alcune città-campione, ovvero Bonn, Essen, Mannheim, Herrenberg e Reutlingen.

Il provvedimento è solo una parte del pacchetto di ‘contromisure’ di Berlino al mancato raggiungimento degli obiettivi europei in materia di lotta all’inquinamento. Ma la notizia ha fatto il giro del mondo: suscitando polemiche, anche da noi. “Rendere gratuiti i mezzi di trasporto pubblici è una ricetta sbagliata, perché i sussidi impedirebbero al settore di essere innovativo e competitivo”, ha detto il presidente dell’Associazione nazionale autotrasporto viaggiatori (Anav), Giuseppe Vinella. “I costi per tale gratuità in Germania sono stimati in circa 13 miliardi di euro annui, in Italia ammonterebbero ad almeno 8 miliardi all’anno”. Il punto è se basterebbe la gratuità ad invogliare gli Italiani a lasciare l’auto in garage. Perché si sa: quella italiana è solo in alcuni punti una rete efficiente, collegata e ben ramificata sul territorio, tale da poter sostituire i mezzi privati. Per la maggior parte del territorio, non è così. E chi prende i mezzi pubblici è costretto a sacrifici che chi va in auto o moto non deve sopportare.

Un compromesso possibile nel Bel Paese tra mezzo privato e mezzo non inquinante è, almeno nelle aree urbane, la bicicletta. La bicicletta però non è un mezzo neutro, perché mal si adatta alle vie trafficate. Da anni quindi le città si stanno attrezzando con piste ciclabili: che però sono spesso pensate come meri ‘biglietti da visita’ dei municipi ‘trendy’, quelli ‘ecosostenibili’, e quindi spesso collocate lontane dai percorsi di spostamento principali, a volte integrate dentro aiuole e marciapiedi, o addirittura interrotte all’improvviso: insomma, più scenografiche che pratiche, e quindi inservibili se non per fare sport. Ciononostante, è appena entrata in vigore la Legge sulla mobilità ciclistica, che rende obbligatori i finanziamenti per le ciclovie nazionali e gli itinerari urbani. “Il ricorso massiccio all’auto privata per gli spostamenti è fallimentare e soprattutto non più sostenibile. Questa è una Legge che per quanto riguarda la mobilità urbana consentirà di ridurre traffico e inquinamento” ha detto Silvia Velo, sottosegretario del Ministero dell’Ambiente. “Sono stati stanziati 14,8 milioni di euro alle Regioni per 70 percorsi e piste ciclabili ed entro sei mesi il ministero delle Infrastrutture dovrà elaborare il piano generale per lo sviluppo della mobilità ciclistica, che dovranno poi adottare le stesse Regioni e i Comuni. La rete denominata ‘Bicitalia’ sarà lunga almeno 20mila chilometri e interconnessa con le reti infrastrutturali”, ha specificato Velo. Peccato che non siamo in Germania però: e, visti i precedenti, pare già di immaginare i municipi italici che, presi i denari, continueranno a chiudere i centri al traffico con la scusa delle ciclabili, realizzate però in periferia. Ma si sa, siti e cartelli propagandistici sono fatti di slogan, e di dati credibili quasi mai; e a far soldi con Ztl, multe ai trasgressori e aree pedonalizzate: monetizzate, pure quelle, coi tavolini dei bar.

Alla bici in città non credono i cittadini: grandi pedalatori, ma sulle strade provinciali; e non ci credono le società di bike sharing. “Con tristezza annunciamo ufficialmente alla nostra comunità di utenti la fine del servizio di Gobee bike in Italia, oggi 15 febbraio 2018”  (si legge nel messaggio della società, con sede a Hong Kong). “Lo scorso autunno Gobee bike ha iniziato la sua avventura in diverse città europee. Abbiamo dovuto affrontare una serie di ostacoli, e purtroppo, tra tutte queste sfide, una in particolare ha rappresentato un problema che non potevamo superare: nelle ultime settimane i danni alla nostra flotta hanno raggiunto limiti che non possiamo più contenere con le nostre forze e con le nostre risorse”.

Durante i mesi di dicembre e gennaio, spiega ancora la società, “le nostre biciclette sono diventate il bersaglio di sistematici atti di vandalismo, trasformandosi così in oggetti da distruggere per puro divertimento. Mediamente, il 60% della nostra flotta europea ha subito danneggiamenti, vandalismi o è stato oggetto di fenomeni di privatizzazione. Per questi motivi non c’è stata nessun’altra opzione se non procedere al termine del servizio a livello nazionale e continentale. Una decisione sofferta dal punto di vista morale, umano e finanziario”. A ben leggerli, i dati del secondo report dell’Osservatorio Nazionale Focus 2R – presentato a Milano da Anci, Legambiente e Confindustria Ancma – hanno rivelato che nel 2016 sono aumentati i Comuni con un servizio attivo di bike sharing (dal 61% al 66% dell’ultimo anno), è vero; ma che gli abbonati sono diminuiti del -13%. Insomma, flop previsto, ma ‘non visto’ da pianificatori e decisori, dal livello ministeriale a quello dei Comuni. Eppure, reale. Per la mobilità sostenibile ci vuole altro.

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[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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