Piattaforma ENI, ancora in ostaggio della Turchia

Continuano le tensioni nel Mar Egeo. Erdogan, recentemente in visita amichevole in Italia, tiene bloccata da venerdì scorso, al largo di Cipro, la piattaforma mobile di trivellazione Saipem 12000 dell’Eni. La mossa tende a ribadire pretese paternità sulle acque territoriali cipriote e a gettare benzina sulla storica contesa turco – greca che infiamma l’isola da sempre. Non si è fatto attendere, infatti, l’atto ostile anche nei confronti della guardia costiera ellenica, speronata pochi giorni fa dalla Marina militare della mezzaluna, nei pressi degli isolotti rocciosi di Imia (Kardak, per i turchi), sotto il controllo dei greci, ma oggetto di violenta disputa tra i due Paesi sin dal lontano 1996.

Ankara ha sempre avversato la concessione da parte di Nicosia ad aziende internazionali, tra cui l’ENI, dei diritti di ricerca e sfruttamento degli idrocarburi nelle acque cipriote. Tra i lotti su cui i turchi rivendicano sovranità territoriale, senza peraltro aver alcun conforto giuridico dal diritto internazionale, si aggiunge evidentemente anche quello oggetto di destinazione di Saipem 12000, in cui è stato individuato un nuovo giacimento di gas naturale. Questa intera area dell’Egeo è divenuta il maggior hub di gas per l’Europa. Gli interessi economici in loco sono altissimi e il gruppo italiano sta subendo ingenti danni a causa dei provvedimenti arbitrariamente adottati da Erdogan. L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, si è dichiarato sorpreso della posizione turca, poiché la piattaforma opererebbe ampiamente all’interno della Zee (Zona Economica Esclusiva della Repubblica di Cipro).

Sulla vicenda, è intervenuto il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, il quale ha esortato la Turchia a evitare attriti con Stati dell’Unione e a rispettare la sovranità di Cipro. Anche la Farnesina ha attivato iniziative diplomatiche per smuovere la situazione e l’Alto Rappresentante UE per gli Affari Esteri, Federica Mogherini, ha sollevato il garbuglio cipriota al ministro degli Esteri turco Mevlut Casavoglu. Il problema è che la diplomazia produce risultati fra contendenti che abbiano almeno una minima idea del principio di democrazia.

Nel caso di Erdogan, che mira a consolidare la sua leadership trasformando la Turchia in un personale sultanato, forse gli argomenti da presentare dovrebbero essere di ben altra pasta. Siamo al cospetto di un personaggio, che ha utilizzato un presunto – perchè odorava assai di messinscena – golpe ai suoi danni, per giustificare le sanguinose purghe con cui ha potuto successivamente eliminare tutti gli oppositori interni in un colpo solo. Siamo di fronte a un politico che ha interessi familiari privati nel business dell’oro nero: il figlio Bilal, proprietario di compagnie di navigazione e di società di logistica, ha stretto accordi commerciali con l’Isis, per acquistare a basso costo e vendere all’estero il petrolio proveniente dai giacimenti siriani sotto il controllo jihadista. Alcune indiscrezioni, inoltre, attribuirebbero alla figlia Sumeyye la gestione di un ospedale segreto vicino al confine siro-turco, in cui combattenti feriti del Califfato sarebbero stati curati e rimandati in Siria, poiché nemici dei detestati curdi, autentica spina nel fianco del presidente.

Siamo davanti a un soggetto estraneo all’Unione, che ha incassato tre miliardi e mezzo di euro da Bruxelles, per sigillare con chissà quali metodi la rotta balcanica, mentre la UE si lamenta del partner italiano, destinatario al confronto di pochi spiccioli, per come i migranti – fra cui figurano ben pochi rifugiati di guerra – sarebbero trattenuti e trattati nei centri gestiti dalle milizie libiche. Stiamo parlando di un leader che vuole la Turchia nell’Unione e, nel frattempo, perpetra aggressioni a due suoi Stati membri, Italia e Grecia. Forse, la UE, al di là dei formali comunicati ai media, dovrebbe iniziare a pensare anche a un effettivo sistema di intervento e difesa militare comune. E l’Italia, una volta tanto, esperita senza esito la prassi del dialogo, potrebbe cercare di tutelare interessi e immagine a livello internazionale, facendo vedere che attorno allo scheletro c’è pure qualche muscolo.

Altrimenti, il dubbio di sentirsi presi per i fondelli, come nel caso dei nostri Marò in India o del povero Regeni in Egitto, potrebbe essere l’unica certezza che regna oggi in questo Paese.

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1 Commento per "Piattaforma ENI, ancora in ostaggio della Turchia"

  1. Tutti quelli dell’ENI si sentono presi in giro dal Sultano Erdogan ! é impossibile fermare a 50 Km dall’arrivo la Nave Saipem 12000 senza Motivazioni ?Cortesemente Italia ed Europa :LASCIATECI LAVORARE IN PACE !

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