Cronache dai Palazzi

Continua l’emergenza lavoro definito “la prima, e la più grave, questione sociale”, anche dal presidente Sergio Mattarella durante il suo discorso di fine anno. “Anzitutto per i giovani, ma non soltanto per loro”. Nonostante la risalita del tasso di occupazione (58,1%) – ben distante dal minimo raggiunto nel 2013 (55,3%) – la disoccupazione registra ancora un livello troppo alto (11,1%) che sale vertiginosamente tra i giovani (34,7%).

Le persone che hanno un’occupazione sono circa 23 milioni e nell’ultimo anno sono stati creati soprattutto posti di lavoro a termine, 347 mila in più rispetto all’ottobre del 2016. Le occupazioni stabili sono quelle che registrano però maggiori difficoltà, nonostante le misure del Jobs act e la conseguente rimodulazione dell’articolo 18.

Per il 2018 la nuova manovra finanziaria, entrata in vigore il primo gennaio, prevede una serie di incentivi alle assunzioni a tutele crescenti, in pratica il tempo indeterminato del Jobs act. Le imprese che impiegheranno un giovane under 35 verseranno all’Inps la metà dei contributi, con un tetto massimo di 3 mila euro. La riduzione varrà 36 mesi. Lo sgravio contributivo potrà raggiungere il 100% nel caso si tratti di un’impresa del Mezzogiorno oppure se il neoassunto è uno studente in alternanza scuola-lavoro, o ancora se è un apprendista di primo e secondo livello. Dal 2019 l’età necessaria per poter applicare lo sgravio fiscale contributivo scenderà a 29 anni. L’obiettivo principale delle suddette norme è di certo quello di rafforzare le assunzioni stabili che avevano registrato dei progressi nella prima fase del Jobs Act, proprio grazie agli sgravi in primo momento pari al 100%. Gli sgravi “completi” del Jobs act sono per l’appunto decaduti dal primo gennaio di quest’anno, quando sono stati portati a termine i primi 80 mila sgravi. Anche il licenziamento in capo alle imprese verrà meno. In questo contesto occorrerà vedere se uno sgravio pari al 50% basterà per convincere gli imprenditori ad assumere. Più in generale la ripresa dell’occupazione è legata all’andamento della ripresa e alle aspettative a medio o lungo termine. In  sostanza, se la ripresa stenta a decollare gli sgravi non saranno sufficienti ad iniettare nel mondo dell’impresa la fiducia necessaria. Al contrario, se la crescita economica dovesse irrobustirsi ulteriormente lo sconto del 50% sui contributi potrebbe contribuire ad incrementare la cifra dei contratti a tempo indeterminato.

È ancora in discussione una riduzione strutturale del costo del lavoro per tutti i dipendenti. In pratica una sostanziale riduzione delle aliquote contributive a carico sia del lavoratore, in modo da rendere le buste paga più consistenti, sia di quelle a carico delle aziende alleggerendone la struttura dei costi e rafforzando quindi il potere competitivo dell’impresa.

Sostenere e rimpolpare il mercato del lavoro vuol dire anche occuparsi di salvare i cosiddetti “Millenials” (i ragazzi che hanno cominciato a lavorare nel 1995 e che hanno carriere discontinue con buchi contributivi) dall’inconveniente “lavoro-precario – mini pensione”. Non a caso il governo dimissionario aveva messo sul tavolo una “pensione di garanzia” (un assegno minimo di 600-700 euro mensili) ma tutti i provvedimenti che vanno in questa direzione sono stati rimandati a tempi migliori. Di sicuro alla prossima legislatura.

A proposito di pensioni, la prima buona notizia del nuovo anno riguarda proprio i pensionati che vedranno rivalutati i propri assegni in base all’inflazione come non accadeva ormai da circa due anni. L’adeguamento provvisorio calcolato dall’Istat è dell’1,1% e verrà applicato alle pensioni fino a tre volte il minimo Inps, in pratica fino a 1.505, 67 euro lordi mensili. Da sottolineare anche le misure a proposito di Ape sociale che permetteranno a disoccupati, invalidi, occupati nella cura dei familiari disabili o impiegati in una delle quindici categorie di lavori “gravosi” identificate dal legislatore (dai conciatori di pelle alle maestre d’asilo, etc.) di uscire dal mondo del lavoro a 63 anni invece che a 66 anni e 7 mesi. Le mamme, inoltre, potranno scomputare un anno di contribuiti per ogni figlio (con un tetto di due) per poter accedere alla misura. Per quanto riguarda l’Ape volontaria, destinata potenzialmente a tutti i lavoratori, si dovrà attendere invece la firma delle convenzioni con banche e assicurazioni attesa nel mese di gennaio.

Equiparata inoltre l’età per andare in pensione per uomini e donne. Nel settore pubblico questo passo era già stato compiuto, mentre fino allo scorso anno nel settore privato le lavoratrici potevano lasciare il mondo del lavoro a 65 anni e 7 mesi. Adesso sia uomini che donne andranno in pensione a 66 anni e 7 mesi anche nel settore privato, come anche le lavoratrici autonome che dovranno lavorare 6 mesi in più prima di ritirarsi, infatti la loro età pensionabile passa da 66 anni e un mese a 66 anni e 7 mesi.

A proposito di pensionamenti e nuovi reclutamenti, nel 2018 andranno in pensione circa 80 mila statali che potranno essere sostituiti secondo le regole del turn over. Le amministrazioni potranno quindi riprendere ad assumere  e per questo il ministero della Funzione pubblica sta limando le linee guida per i nuovi concorsi. Sempre nel 2018 verrà avviata inoltre la stabilizzazione di circa 50 mila precari della Pa e chi è entrato attraverso un concorso pubblico dovrebbero essere assunto automaticamente. Coloro che hanno partecipato a nessun concorso dovranno invece aderirvi, e si prevedono comunque dei posti riservati ai precari. Le assunzioni dovranno comunque essere “mirate” in base ai fabbisogni di personale, in pratica ogni singola amministrazione dello Stato dovrà rendere noto di quali professionalità necessità veramente e, nel contempo, dichiarare quali invece sono di troppo. Un obiettivo è infine quello di porre uno stop ai “mini-bandi”, ossia i concorsi banditi per pochi posti e che registrano magari migliaia di partecipanti, L’obiettivo sarà organizzare delle selezioni “comuni” per tutte le amministrazioni che richiedono un medesimo profilo professionale, risparmiando così tempo e denaro a carico dello Stato.

La riforma Madia mette l’accento inoltre sulla conoscenza dell’inglese e sulla valorizzazione dei titoli di studio come i dottorati di ricerca. Nelle prove di concorso dovrebbero infine essere introdotti dei test preselettivi con elementi attitudinali e di logica, come è previsto già nelle selezioni europee, e il classico tema potrebbe essere sostituito da una prova su un caso concreto. Le nuove linee guida per i concorsi dovrebbero essere finalizzate entro il mese di gennaio in Conferenza unificata, per poi ottenere il via libera definitivo nei tempi previsti per la nuova ondata di concorsi della pubblica amministrazione.

Su un altro fronte salta il tetto dei 240 mila euro annui che tra il 2014 e il 2017 ha ridimensionato gli stipendi dei dipendenti di Camera e Senato in virtù del cosiddetto “contributo di solidarietà”. Il tetto dei 240 mila euro avrebbe dovuto stabilizzarsi proprio dal primo gennaio 2018 ma una pioggia di ricorsi (1.012 solo alla Camera) hanno sancito, con tre sentenze, l’assoluta temporaneità dei tagli alla parte fissa dello stipendio. Per cui nei due rami del Parlamento le spese per il personale sono in risalita e nel 2018, solo a Montecitorio, sono previsti 175 milioni per gli stipendi di cui 4,5 in più rispetto al 2017. La retribuzione di un dipendente su due sembra superare i cosiddetti “tetti” (166 mila per documentaristi e ragionieri; 115 mila per i segretari parlamentari; 99 mila per assistenti parlamentari, tecnici etc.) e ben 60 consiglieri su 137 hanno una busta paga che supera il tetto dei 240 mila euro. A Camere sciolte ogni provvedimento è rimandato alla prossima legislatura, tra cui anche l’abolizione dei vitalizi per gli ex parlamentari. Temi di cui sarà comunque densa la campagna elettorale ormai in corso.

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