La rivolta dei sacchetti

Mai come in questi ultimi giorni l’Italia si svegliò compatta contro qualcosa. No, non parlo dell’invasor, non parlo di cose così ma di robe molto più nobili: i sacchetti bio a pagamento nei supermercati.

Abbiamo rischiato il colpo di Stato. Ci facciamo governare da governi che non abbiamo votato, siamo stati zitti di fronte a decisioni che ci hanno messi in ridicolo, abbiamo affrontato discorsi da bar per ogni articolo di giornale, ma non è cambiato nulla, tutto lo sdegno e l’indignazione durava fino all’aperitivo.

Stavolta no. Tutti sul piede di guerra. I sacchetti fanno schifo, li ho visti; durano da Natale a Santo Stefano e non è vero come il ministro Galletti proclama che possono essere riutilizzati; provate a farlo: sentirete anche dal sedicesimo piano le bestemmie degli operatori ecologici che tirandoli su spargeranno i resti dei pranzi e delle cene degli italiani in mezzo alla strada.

Sono piccoli e fragili, però sono serviti a rimettere in cattiva luce (se mai ce ne fosse bisogno) il povero Matteo; perché pare che li produca un’azienda vicina al Giglio magico. Che poi sia vero o meno a me piacerebbe molto di più sapere come questa azienda sia stata scelta per questo appalto, non chi sia l’AD.

Comunque siamo tutti indignati, sdegnati, al supermercato si formano capannelli di cittadini traditi, derubati, che si sfogano con i poveri ignari commessi dei vari supermercati non impegnati a far partorire la gente. Insomma una sommossa in atto. Per un centesimo. Meritiamo l’estinzione.

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