L’economia? Cerca il senso della vita

L’economia? È alla ricerca di un ‘senso della vita’. Una ricerca che dura da sempre, anche se nel secondo dopoguerra il fantasma di una economia come scienza esatta, che si volesse o no titolata ad imporsi sulla vita, ha offuscato questo lavorio incessante.

Il ‘senso dell’economia’ lo cerca, ormai da anni, la società: lo si vede nel dibattito mondiale su economia e sostenibilità, su economia e ambiente e su economia e terzo mondo, che negli anni Duemila ha preso il posto di quello tra capitale e lavoro del Novecento – e nel quale si sono alzate voci autorevoli: corali come si è visto in occasione delle assemblee ONU sul Clima, e singole, come quelle di Papa Francesco con l’enciclica ‘Laudato si’’. Lo si vede nella messa in discussione del Pil come presunta unità di misura non del prodotto, ma addirittura del benessere di un Paese – un significato ‘abusivo’ del termine che era filtrato nel pensiero collettivo. E lo si vede nel dibattito sul rapporto tra economia e politica, che, dopo decenni di accettazione della prevalenza di finanza e mercati, mette finalmente in dubbio il presunto diritto dell’economia a prevalere sulla politica. Un esempio di questo dibattito arriva in questi giorni non da movimenti o da partiti estremisti, ma dalle banche, e parla la lingua italiana. Il tema è in una compresenza di temi, un ‘cloud’, che comprende economia, etica e politica. Ieri, replicando alla lettera sugli Npl (i ‘crediti deteriorati’) ricevuta dal presidente della Bce Mario Draghi, il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani ha affermato: “Resto profondamente preoccupato per il fatto che ulteriori obblighi, in conflitto con le disposizioni legislative, possano essere imposti” alle banche “senza il necessario coinvolgimento del legislatore nel processo decisionale. Il Parlamento Europeo è pronto a esaminare qualsiasi proposta legislativa della Commissione sugli Npl”. E, giusto una settimana fa, il presidente dell’Associazione bancaria italiana (Abi) Antonio Patuelli, presentando a Bari il volume ‘La difficile arte del banchiere di Luigi Einaudi’, citando lo stesso Einaudi ha detto: “L’economia, e come scienza e come arte, è sottordinata all’etica – affermava – aggiungendo che qualunque cosa ‘possa procacciare ricchezza in opposizione alla giustizia, per ciò solo è anticipatamente vietata”.

Schermaglie interistituzionali? Scontro di poteri? Frasi di rito? Certo, la questione è tecnica, il problema riducibile a meccanismi, e i concetti alti che compaiono possono apparire strumentalizzati: eppure, a guardar bene, oltre le apparenze si scorge di un segnale importante, il segnale, positivo, che le idee non muoiono mai, che nelle crisi piccole e grandi tornano ad aiutarci a risolvere i problemi, e che hanno una rappresentatività prestigiosa nel dibattito pubblico sui temi di interesse comune. Per quanto le idee in questione siano lontane nel tempo, e per quanto i personaggi sulla scena siano diversi, la ‘sottordinazione dell’economia all’etica’ di Einaudi non è lontana infatti dal richiamo di Tajani alla necessità di sovraordinare l’attività legislativa – dunque la politica, che in un ordinamento democratico è portatrice di etica più delle tecniche di ogni tipo, perché nasce dal confronto e rappresenta la volontà popolare – alle decisioni della ‘tecnica’ sulle banche. Idee che si rincorrono, oggi nel confronto BCE-Europarlamento, sulla scena della vecchia ma in realtà giovane Europa: dove da anni si fronteggiano il modello di un’Europa ‘economica’ e quello di un’Europa ‘politica’, e dove il ritorno alla centralità della politica che era nel pensiero di De Gasperi, di Shuman e di Adenauer non pare più un fantasma o una chimera.

Negli stessi giorni, in ambienti molto vicini, nello stesso settore – le banche – e nella stessa lingua – l’italiano, diciamolo; negli stessi giorni, finalmente nei palazzi del potere e non solo nelle aule accademiche o nei best seller degli outsider del pensiero sull’economia; negli stessi giorni insomma appare sulla scena più alta un dibattito che oppone etica e politica alla prevalenza, per anni data per scontata, dell’economia sul mondo e sulla vita.

La cosa non è di poco conto. Significa che l’ipotesi di gestire la realtà collettiva attraverso ‘governi tecnici’ di vario tipo, un paradigma prevalente nei ‘palazzi’ nei primi anni Duemila, non è vincente, e forse sta entrando in crisi. Significa che a rendersene conto e protagonista è l’uomo: che anima le istituzioni e le organizzazioni, che rimane consapevole di questa sua ‘sovraordinazione’, e che quindi, a tutti i livelli, anche quelli più alti, non si arrende ad essere un semplice esecutore – non del volere di entità solo apparentemente impersonali e astratte ma viste spesso come moderne Necessità come ‘la scienza’, ‘la tecnica’ o ‘i mercati’. Significa che il pensiero, nonostante tutto, ancora esiste. E significa che gli effetti della crisi economica e ambientale possono davvero riportare l’etica dentro l’economia. Il che sarebbe, alla fine, un ‘ritorno alle origini’ di un’economia che da sempre cerca il senso del suo stare al mondo.

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[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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