Cronache dai Palazzi

L’Aula di Montecitorio dice sì alla nuova Legge elettorale. Fondamentale si è rivelato l’accordo tra Pd e Ap, forze di governo, con l’apporto di Forza Italia e Lega Nord all’opposizione ma, nel contempo, sono scoppiate le proteste dei dissidenti (Movimento 5 Stelle, Mdp e Fratelli d’Italia) che hanno riversato immediatamente i loro malumori in piazza.

Già nel mese di giugno Partito democratico, Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega siglarono un’intesa sulla base di un sistema proporzionale denominato “Tedeschellum”, in funzione del quale una parte dei parlamentari era scelta in collegi uninominali. Il suddetto patto non riuscì però a superare la prova dell’Aula e al primo voto segreto l’accordo si vanificò nel nulla. Partito democratico e Cinque Stelle iniziarono una dura battaglia accusandosi a vicenda e per  Matteo Renzi, segretario dem, la partita si considerò chiusa. Di conseguenza, il pentastellato Luigi Di Maio iniziò a sollecitare il ritorno alle urne con le leggi esistenti.

Poco dopo, in occasione della cerimonia del Ventaglio (26 luglio) con la quale terminano i lavori parlamentari prima della pausa estiva, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricordò l’importanza di una legge elettorale condivisa, affermando: “Il Parlamento ha ancora tempo per lavorarci”. Dopo l’estate la Camera è tornata quindi a discutere di legge elettorale senza raggiungere però la condivisione di nessun testo. Solo a fine settembre Partito democratico e forzisti hanno raggiunto un’intesa sul Rosatellum, intesa allargata in seguito alla Lega e ad Ap. Ultimo passo (prima del voto in Aula) il 10 ottobre, quando il governo Gentiloni ha deciso di porre la fiducia.

Il Rosatellum 2.0 ha infine superato il primo scoglio alla Camera (giovedì 12 ottobre) ed ora è atteso in Senato la prossima settimana, per poi approdare magari al Quirinale e diventare legge promulgata dal Capo dello Stato. Di seguito le elezioni nel 2018.

“Grande soddisfazione” per Matteo Renzi anche se i 375 sì ottenuti dal Rosatellum 2.0 alla Camera si discostano un po’ dal potenziale bacino di 441 voti rappresentato dall’asse Pd-FI-Lega-Ap, al quale si dovrebbero aggiungere i voti di Scelta civica, dei socialisti, di Svp e parte del Gruppo misto. Considerati circa 25 assenti all’interno della maggioranza, i franchi tiratori sarebbero stati quindi una quarantina.

Non poche le proteste a proposito di un Parlamento di nominati e dell’eventuale “forzatura” del voto di fiducia da parte del governo, come hanno polemizzato Alfredo D’Attorre e Roberto Speranza di Mdp. Il premier Gentiloni ha comunque prontamente risposto rivendicando la neutralità dell’esecutivo e, nel contempo, precisando: “Non staremo alla finestra, accompagneremo l’iter della legge. La ‘forzatura’ la volevate voi con i 120 voti segreti”.

Il voto di fiducia di fatto blinda la legge, e, non a caso, sono arrivate critiche severe, sull’impossibilità di apporre qualsiasi ulteriore modifica, anche da parte del senatore a vita Giorgio Napolitano. “La fiducia”, per l’ex capo dello Stato, crea un “ambito pesantemente costretto in cui qualsiasi deputato oggi, o senatore domani, può fare valere il suo punto di vista e le sue proposte”. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – pur rimanendo al di fuori delle dinamiche governo-Parlamento – ha voluto sottolineare che “la forza della democrazia sta proprio nella coscienza dell’interesse generale, che mai va smarrita nel confronto, a volte aspro, sui cambiamenti da realizzare”.

La nuova legge, il Rosatellum 2.0, è un sistema misto che prevede un terzo di collegi uninominali: il candidato più votato ottiene il seggio; due terzi di seggi attribuiti con riparto proporzionale (con sbarramento al 3%) e listini corti bloccati. In pratica i seggi sono ripartiti in base alle percentuali di voto dei partiti, con listini bloccati.

A Montecitorio sono 231 i collegi uninominali, più quello della Valle D’Aosta, mentre 398 deputati sono eletti con il proporzionale. A Palazzo Madama sono 109 (più 7 di Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige) i collegi, 199 i seggi assegnati con il proporzionale. La scheda è una sola e il voto vale per la lista e per il candidato del collegio uninominale al quale il candidato è collegato. Il voto disgiunto non è concesso. Per entrare in Parlamento, infine, una lista deve ottenere almeno il 3% (oltre un milione di voti) mentre una coalizione il 10%. Il Rosatellum 2.0 non prevede un premio di maggioranza e l’esito delle elezioni può comportare una parità tra i tre poli, per cui due dei quali dovranno eventualmente mettersi d’accordo in funzione della necessità di governare.

L’Italicum, come è stato modificato dalla Corte Costituzionale – tuttora in vigore fino al momento in cui il Senato non approverà la nuova legge – è un sistema proporzionale che prevede un premio di maggioranza soltanto nel caso in cui una lista ottenga il 40% dei voti. Anche l’Italicum corretto dalla Consulta prevede una soglia del 3% ma il tutto solo per la Camera, in quanto al Senato si adotterebbe un altro sistema. I grillini preferirebbero andare al voto con l’Italicum corretto dalla sentenza della Corte costituzionale anche se, paradossalmente, il Movimento di Grillo otterrebbe bei risultati con il Rosatellum, che potrebbe fornire loro qualche deputato in più; mentre i dem sarebbero avvantaggiati dall’Italicum corretto. Secondo i sondaggi di Ipsos, che ha applicato ai sondaggi sulle intenzioni di voto le due leggi elettorali, con l’Italicum corretto il Partito democratico otterrebbe infatti 15 seggi salendo in testa a quota 178.

Essere il primo partito non sarebbe comunque una condizione sufficiente in quanto, sempre secondo i sondaggi, la coalizione di centrodestra potrebbe superare il centrosinistra; all’interno di quest’ultimo i centristi di Angelino Alfano potrebbero  però ottenere qualche beneficio attraverso un’eventuale alleanza con il Partito democratico, oltrepassando (sempre secondo i sondaggi Ipsos) di fatto lo sbarramento del 3% e, nel contempo, fornendo al centrosinistra una marcia in più per governare. M5S appare invece il partito più forte nei collegi uninominali, all’interno dei quali passa il candidato che ottiene più voti. I Pentastellati ne otterrebbero 70 (tra i 231 del Rosatellum), 12 in più dei democratici. Secondo le stime Sicilia e Puglia sarebbero le roccaforti grilline. Il centrodestra, a sua volta, otterrebbe 103 collegi, per la maggior parte in Lombardia, Piemonte e Veneto.

La governabilità non è comunque assicurata in ogni caso, in quanto nessuno dei tre poli raggiungerebbe la maggioranza, quota 316, un risultato non facile da ottenere nemmeno per le larghe intese.

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